La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-341/22 Feudi di San Gregorio ha segnato un punto di svolta nella disciplina delle società di comodo in Italia, con particolare riferimento al diritto alla detrazione IVA. La pronuncia ha messo in luce come le disposizioni dell’articolo 30 della legge 724/1994, che introducono limitazioni alla detrazione per le società considerate non operative, siano in contrasto con la direttiva europea sull’IVA. La Corte ha evidenziato incompatibilità sia per quanto riguarda la nozione di soggettività passiva IVA, sia per il diritto a detrarre l’imposta assolta sugli acquisti.
Il quadro normativo italiano sulle società di comodo
La disciplina italiana sulle società di comodo è stata introdotta con l’articolo 30 della legge 724/1994, con l’obiettivo di contrastare il fenomeno delle società non operative, costituite principalmente per beneficiare di vantaggi fiscali. La norma prevede che, quando una società non raggiunge un determinato volume di operazioni nel corso di un periodo d’imposta, calcolato secondo specifici criteri basati sui beni posseduti e sui ricavi attesi, essa sia considerata non operativa. Di conseguenza, vengono applicate una serie di limitazioni al diritto di detrazione IVA, tra cui:
- l’impossibilità di ottenere il rimborso o di compensare l’eccedenza IVA assolta nell’esercizio in cui la società è considerata non operativa;
- il divieto di riportare il credito IVA all’esercizio successivo, se la società è considerata non operativa per tre esercizi consecutivi.
Tali disposizioni hanno l’obiettivo di scoraggiare la creazione e il mantenimento di società non operative, incentivando invece l’effettivo svolgimento di attività economiche.
Il caso Feudi di San Gregorio e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE
La vicenda che ha portato alla pronuncia della Corte di Giustizia UE ha avuto come protagonista la società Feudi di San Gregorio, operante nel settore vitivinicolo. L’Agenzia delle Entrate aveva considerato la società non operativa per gli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008, negandole il diritto alla detrazione IVA per tali periodi. La società aveva impugnato gli avvisi di accertamento, sostenendo l’incompatibilità dell’articolo 30 della legge 724/1994 con la direttiva IVA. La questione è giunta fino in Cassazione, che ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia UE alcune questioni pregiudiziali, chiedendo di valutare la compatibilità della normativa italiana con il diritto unionale.
L’analisi della Corte di Giustizia UE e i profili di incompatibilità
La Corte di Giustizia UE, nella sentenza C-341/22, ha esaminato la compatibilità dell’articolo 30 della legge 724/1994 con diversi aspetti della direttiva IVA. In primo luogo, la Corte ha riscontrato un’incompatibilità con le nozioni di “soggettività passiva IVA” e “attività economica” previste dall’articolo 9 della direttiva. Secondo la Corte, la qualifica di soggetto passivo IVA non può essere subordinata al raggiungimento di una determinata soglia di ricavi, corrispondente ai proventi attesi dalle attività patrimoniali possedute. Ciò che rileva è l’effettivo esercizio di un’attività economica, indipendentemente dal volume di operazioni realizzate.
In secondo luogo, la Corte ha ritenuto la normativa italiana incompatibile con il diritto alla detrazione sancito dall’articolo 167 della direttiva IVA e con il principio di neutralità. È stato evidenziato come nessuna disposizione della direttiva subordini il diritto alla detrazione al raggiungimento di una certa soglia di operazioni attive effettuate in un determinato periodo d’imposta. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dall’avvocato generale nelle sue conclusioni, la Corte ha ritenuto che la disposizione nazionale non possa trovare giustificazione neppure nella sua finalità antielusiva. La presunzione di non operatività, pur essendo confutabile, si basa su una mera valutazione quantitativa del volume delle operazioni rilevanti ai fini IVA e non può essere considerata idonea a dimostrare che il diritto alla detrazione sia stato invocato in modo fraudolento o abusivo.
Le conseguenze della sentenza e l’impatto sui rapporti pendenti
La dichiarazione di incompatibilità dell’articolo 30 della legge 724/1994 con la direttiva IVA avrà conseguenze immediate su tutti i rapporti ancora pendenti, sia in fase di accertamento che di contenzioso. La Cassazione, in qualità di giudice del rinvio, dovrà applicare le norme della direttiva secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia UE, disapplicando la norma interna in contrasto. Ciò dovrebbe comportare l’accoglimento del ricorso presentato dalla società Feudi di San Gregorio e il riconoscimento del diritto alla detrazione IVA per i periodi d’imposta contestati.
Più in generale, data la rilevanza esterna della sentenza pregiudiziale interpretativa, qualunque organo dello Stato, sia esso giudice o amministrazione, sarà tenuto a disapplicare l’articolo 30 della legge 724/1994, anche in assenza di un’istanza di parte. L’interpretazione fornita dalla Corte, chiarendo il significato delle norme della direttiva IVA quale avrebbe dovuto essere inteso sin dal momento della loro entrata in vigore, avrà effetti retroattivi e impatterà su tutti i rapporti sorti anteriormente ad essa, purché non definitivamente esauriti.
Prospettive future e necessità di un intervento legislativo
Alla luce della sentenza della Corte di Giustizia UE, appare evidente la necessità di un intervento tempestivo del legislatore italiano per eliminare il contrasto con il diritto sovraordinato. L’abrogazione dell’articolo 30 della legge 724/1994 o una sua sostanziale modifica appaiono ineludibili per garantire la conformità dell’ordinamento interno alle norme e ai principi del diritto unionale.
Sarà interessante osservare come il legislatore deciderà di intervenire e quali saranno le nuove disposizioni in materia di società di comodo e detrazione IVA. Un’eventuale riforma dovrà tenere conto delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia UE, bilanciando l’esigenza di contrastare pratiche elusive con il rispetto dei diritti dei contribuenti e dei principi fondamentali del sistema comune dell’IVA.
In attesa di un intervento legislativo, è prevedibile un significativo impatto della sentenza sui rapporti tra Fisco e contribuenti, con un probabile aumento dei contenziosi e delle richieste di rimborso o di riconoscimento del diritto alla detrazione IVA da parte delle società considerate non operative sulla base della previgente normativa.
Esempio
La società Beta Srl, operante nel settore immobiliare, è stata considerata non operativa per gli anni d’imposta 2017, 2018 e 2019, in quanto il valore delle operazioni effettuate non ha raggiunto la soglia prevista dall’articolo 30 della legge 724/1994. L’Agenzia delle Entrate ha emesso avvisi di accertamento, negando il diritto alla detrazione IVA e richiedendo il pagamento delle imposte dovute. La società ha impugnato gli avvisi, sostenendo l’incompatibilità della normativa italiana con la direttiva IVA. Alla luce della sentenza della Corte di Giustizia UE, il giudice tributario dovrà disapplicare l’articolo 30 e riconoscere il diritto alla detrazione IVA della società Beta Srl, accogliendo il ricorso.
Domande e risposte
Quali sono le principali limitazioni al diritto di detrazione IVA previste dall’articolo 30 della legge 724/1994 per le società di comodo?
Le principali limitazioni sono: a) l’impossibilità di ottenere il rimborso o di compensare l’eccedenza IVA assolta nell’esercizio in cui la società è considerata non operativa; b) il divieto di riportare il credito IVA all’esercizio successivo, se la società è considerata non operativa per tre esercizi consecutivi.
Su quali aspetti si è concentrata l’analisi di compatibilità della Corte di Giustizia UE?
La Corte ha esaminato la compatibilità dell’articolo 30 della legge 724/1994 con le nozioni di “soggettività passiva IVA” e “attività economica” (art. 9 dir. IVA), con il diritto alla detrazione (art. 167 dir. IVA) e con il principio di neutralità. Ha inoltre valutato se la norma potesse trovare giustificazione nella sua finalità antielusiva.
Quali sono le conseguenze pratiche della sentenza per i rapporti pendenti?
La sentenza impone la disapplicazione dell’articolo 30 della legge 724/1994 da parte di qualunque organo dello Stato, giudice o amministrazione, anche in assenza di un’istanza di parte. L’interpretazione della Corte ha effetto retroattivo e impatta su tutti i rapporti non definitivamente esauriti, sia in fase di accertamento che di contenzioso.
Cosa ci si attende dal legislatore italiano a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia UE?
Ci si attende un intervento tempestivo per eliminare il contrasto con il diritto UE, attraverso l’abrogazione o una sostanziale modifica dell’articolo 30 della legge 724/1994. La riforma dovrà tenere conto delle indicazioni della Corte, bilanciando la lotta all’elusione con il rispetto dei diritti dei contribuenti e dei principi del sistema comune dell’IVA.