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Superbonus 110% e sequestro preventivo: la Cassazione ridefinisce i confini della buona fede bancaria

17 Luglio, 2024

Il mondo del Superbonus 110% è stato recentemente scosso da una sentenza della Corte di Cassazione che ha ridefinito i confini della responsabilità degli istituti bancari coinvolti in potenziali frodi. La decisione, emessa dalla seconda sezione penale con sentenza n. 28064 del 12 luglio 2024, ha stabilito che il sequestro preventivo dei crediti d’imposta ceduti alle banche può avvenire anche quando queste ultime abbiano agito in buona fede. Questa pronuncia ha importanti implicazioni per tutti gli attori coinvolti nel meccanismo del Superbonus, dalle banche ai professionisti del settore, fino ai cittadini che intendono usufruire di questa agevolazione fiscale. In questo articolo, analizzeremo in dettaglio la sentenza, le sue motivazioni e le conseguenze pratiche per il settore.

Il contesto della sentenza

La sentenza della Cassazione si inserisce in un contesto di crescente attenzione alle frodi legate al Superbonus 110%. Negli ultimi anni, infatti, sono emerse numerose indagini su presunti lavori fittizi che hanno beneficiato di questa agevolazione fiscale, causando un danno significativo alle casse dello Stato. In risposta a queste problematiche, le autorità giudiziarie hanno intensificato i controlli e le azioni di contrasto, tra cui il sequestro preventivo dei crediti d’imposta oggetto di sospette frodi.

Il cuore della decisione: sequestro preventivo e buona fede

Il punto centrale della sentenza riguarda la natura del sequestro preventivo dei crediti d’imposta ceduti alle banche. La Corte ha chiarito che questo tipo di sequestro ha una funzione “impeditiva”, ovvero mira a prevenire l’utilizzo di crediti potenzialmente inesistenti, e non è una misura finalizzata alla confisca obbligatoria. Questa distinzione è fondamentale per comprendere perché il sequestro possa essere disposto anche nei confronti di banche che hanno agito in buona fede.

Secondo la Cassazione, per procedere al sequestro preventivo è sufficiente la mera relazione tra il reato ipotizzato e la cosa oggetto del sequestro. Ciò significa che il vincolo può colpire anche beni di terzi estranei all’illecito, come appunto le banche che hanno acquisito i crediti in buona fede. La verifica della buona fede dell’istituto di credito e del suo eventuale diritto alla restituzione dei crediti sequestrati diventa rilevante solo in una fase successiva, quando si prospetta la possibile definitività del vincolo.

Implicazioni per le banche e i professionisti del settore

Questa decisione ha importanti implicazioni per le banche e i professionisti coinvolti nelle operazioni legate al Superbonus 110%. In primo luogo, sottolinea la necessità di adottare procedure di due diligence ancora più rigorose nell’acquisizione e nella gestione dei crediti d’imposta. Le banche, in particolare, dovranno essere consapevoli che la loro buona fede, pur rimanendo un elemento rilevante, non costituisce una protezione assoluta contro il sequestro preventivo dei crediti.

Inoltre, la sentenza evidenzia che le banche, monetizzando il credito, ricavano un profitto, poiché i crediti sono ceduti a un valore inferiore a quello nominale. Questo aspetto potrebbe influenzare la valutazione della responsabilità delle banche in futuri casi simili.

Il problema dell’indebita compensazione

Un altro aspetto importante affrontato dalla Cassazione riguarda l’indebita compensazione. La Corte ha sottolineato che quando il Superbonus è generato da costi non effettivamente sostenuti, il cessionario che utilizza il credito compie un’indebita compensazione, trattandosi di crediti inesistenti o non spettanti. Questo punto è particolarmente rilevante per i professionisti che si occupano della gestione fiscale delle operazioni legate al Superbonus.

Esempi pratici

Per comprendere meglio le implicazioni di questa sentenza, consideriamo alcuni esempi pratici:

  1. Una banca acquisisce in buona fede crediti d’imposta derivanti da lavori di ristrutturazione che si rivelano poi fittizi. Nonostante la buona fede della banca, questi crediti potrebbero essere oggetto di sequestro preventivo.
  2. Un professionista assevera la congruità di lavori che in realtà non sono stati eseguiti. In questo caso, non solo il professionista potrebbe essere indagato per truffa, ma anche i crediti generati da questa asseverazione potrebbero essere sequestrati, anche se ceduti a terzi in buona fede.
  3. Una società di costruzioni emette fatture per lavori non eseguiti, generando crediti d’imposta fittizi. Questi crediti, anche se ceduti a una banca ignara della frode, potrebbero essere oggetto di sequestro preventivo.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione rappresenta un importante punto di svolta nella gestione delle frodi legate al Superbonus 110%. Essa chiarisce che la buona fede delle banche, pur rimanendo un elemento rilevante, non costituisce un ostacolo al sequestro preventivo dei crediti d’imposta potenzialmente fraudolenti. Questo approccio mira a bilanciare l’esigenza di prevenire l’utilizzo di crediti inesistenti con la tutela dei diritti dei terzi in buona fede.

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