La Corte di Cassazione è intervenuta di nuovo per chiarire come vada inquadrato fiscalmente il caso in cui un genitore sostenga il costo di acquisto di un immobile destinato al figlio. La recente pronuncia conferma che il pagamento compiuto da un soggetto diverso dall’acquirente non è inquadrabile automaticamente come atto di liberalità, ma corrisponde a un onere ulteriore sottoposto all’imposta di registro fissata al 3%. L’elemento decisivo è la presenza di un obbligo di restituzione da parte del figlio, che trasforma l’intervento del genitore in un vero e proprio adempimento del terzo. L’obiettivo di questo articolo è spiegare in modo chiaro tale principio, tenendo conto dei riferimenti normativi e delle conseguenze pratiche.
Il contesto normativo e la posizione dell’Agenzia delle Entrate
La questione nasce dal ricorso di alcuni contribuenti i quali sostenevano che il pagamento del prezzo di acquisto di un appartamento, effettuato dai genitori a vantaggio del figlio, dovesse essere considerato un atto a titolo gratuito e quindi ricondotto alla sfera della liberalità. Le conseguenze di questa impostazione sarebbero state la possibile esenzione dall’imposta di donazione oppure l’applicazione di un’aliquota agevolata per gli atti a contenuto liberale.
Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto, sulla base dell’art. 9 della Tariffa Parte I allegata al DPR 131/86, che l’atto fosse assimilabile all’adempimento di un terzo. In questa prospettiva, il figlio si obbliga a restituire la somma, mentre il genitore non intende donare il denaro in maniera definitiva.
Di conseguenza, si applica l’imposta di registro al 3% come previsto per gli interventi di terzi che si inseriscono in un contratto di compravendita immobiliare.
La Cassazione e la natura non liberale dell’operazione
La Suprema Corte, con la propria ordinanza del 28 novembre 2024 n. 30677, ha sostanzialmente confermato l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, chiarendo che l’adempimento del terzo non comporta un arricchimento gratuito e definitivo del beneficiario, se quest’ultimo è gravato da un vincolo di restituzione. In altre parole, quando l’acquirente accetta il pagamento fatto dal genitore e si impegna a rendere la somma ricevuta, non si attiva un meccanismo di donazione. L’effetto giuridico non ricade infatti nei regimi agevolati destinati agli atti a titolo liberale, ma piuttosto in un obbligo che deriva dalla stessa struttura del contratto di compravendita.
Secondo la Cassazione, l’assenza di liberalità è confermata dall’ammissione delle parti di non aver mai inteso realizzare una donazione. Questa dichiarazione, unita all’onerosità implicita di un successivo ristoro al genitore, svuota di contenuto l’ipotesi di liberalità.
Riferimenti alla giurisprudenza e incidenza sulla tassazione
La pronuncia si inserisce in un solco giurisprudenziale consolidato (richiamato anche dalle Sezioni Unite della Cassazione, come la sentenza n. 6538/2010), ove si evidenzia che l’adempimento spontaneo di un debito altrui, pur lasciando inalterato il rapporto tra chi deve e chi riceve, non implica in automatico una donazione.
Nel caso in cui la somma versata debba essere successivamente restituita, la Cassazione ritiene opportuno applicare l’imposta di registro così come prevede la normativa. Non trova invece spazio l’esenzione dalle imposte sui trasferimenti a carattere liberale, né tantomeno un inquadramento come donazione indiretta.
Un esempio pratico
Immaginiamo un padre che paghi al venditore un appartamento destinato al figlio. Al momento del rogito, la cifra è versata interamente dal genitore, ma il figlio si assume l’impegno di rimborsare tale importo nel tempo. Questo scenario non attiva alcuna donazione perché c’è un obbligo di restituzione. Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate applica l’imposta di registro al 3% sull’atto in quanto riconducibile a un adempimento del terzo.
Se invece fosse dimostrato che il padre non avrà alcun diritto di recuperare la cifra (cioè intendesse regalare il capitale), allora sì che sarebbe potuta emergere la natura liberale del versamento e, di conseguenza, si sarebbe ragionato in termini di tassazione per donazione.
Conclusione
Dall’analisi emerge con chiarezza che il fulcro è l’esistenza o meno di un vincolo di restituzione. Se il figlio è tenuto a restituire quanto versato dal genitore, l’intervento configura l’adempimento del terzo e scatta l’imposta proporzionale di registro. Laddove, invece, venga provata la volontà di donare definitivamente la somma, allora potrebbe profilarsi un diverso regime impositivo. La pronuncia della Corte di Cassazione sottolinea ancora una volta come lo spirito dell’operazione economica sia determinante ai fini dell’inquadramento fiscale, riaffermando la necessità di valutare, di volta in volta, la sostanza effettiva del contratto.