La recente sentenza della Cassazione n. 33303/2024 ha ribadito un principio fondamentale in materia fiscale: i canoni di locazione maturati devono essere tassati anche se non vengono effettivamente riscossi, salvo specifiche eccezioni. Questo orientamento si basa sul principio di competenza previsto dall’articolo 109 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), che attribuisce rilevanza fiscale ai ricavi alla data di maturazione, indipendentemente dalla loro effettiva percezione. Questo articolo esplora i dettagli della pronuncia e il contesto normativo, chiarendo le implicazioni per imprese e professionisti e fornendo esempi pratici per comprendere meglio i concetti espressi.
Tra contratti di locazione e ricavi non dichiarati
La vicenda che ha dato origine alla sentenza riguarda una società che, nel 2008, aveva stipulato alcuni contratti di locazione. Per l’anno 2009, i ricavi dichiarati dalla società risultavano inferiori rispetto ai canoni previsti nei contratti originari. La discrepanza era dovuta a una riduzione concordata tra le parti, motivata da difficoltà finanziarie del locatario, e formalizzata tramite l’emissione di note di credito.
Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha contestato questa riduzione, sostenendo che i ricavi dichiarati avrebbero dovuto corrispondere ai canoni contrattuali maturati. Secondo l’Amministrazione finanziaria, la società avrebbe dovuto iscrivere i canoni non riscossi come perdite su crediti, anziché omettere la loro tassazione.
Il problema principale risiedeva nell’assenza di un accordo scritto che formalizzasse la modifica contrattuale. Di conseguenza, l’Agenzia ha recuperato a tassazione l’importo non fatturato, considerando la riduzione come “asserite modifiche contrattuali” prive di validità ai fini fiscali.
Il principio di competenza e la posizione della cassazione
La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, evidenziando un aspetto cruciale: in materia di redditi d’impresa, i ricavi derivanti da canoni di locazione devono essere considerati imponibili alla data di maturazione, indipendentemente dal loro effettivo incasso. Questo principio è sancito dall’articolo 109, comma 2, lettera b) del TUIR, che regola l’imputazione temporale dei ricavi.
La Corte ha sottolineato che, fino alla risoluzione formale del contratto, il canone concordato tra le parti rimane un ricavo certo e determinabile. Pertanto, anche in caso di morosità del locatario o di mancato pagamento, il canone deve essere dichiarato come componente positivo di reddito.
Un esempio pratico può chiarire meglio questo punto:
- Supponiamo che una società locatrice stipuli un contratto di locazione nel 2023 per un canone annuo di 12.000 euro, pagabile in rate mensili. Se il locatario non paga le rate da luglio a dicembre, il locatore dovrà comunque dichiarare l’intero canone di 12.000 euro nel proprio reddito imponibile, salvo che il contratto sia stato risolto o vi sia un provvedimento giudiziario che certifichi la morosità.
La rilevanza dell’accordo scritto per modifiche contrattuali
Uno degli aspetti più delicati emersi nella sentenza riguarda la validità delle modifiche contrattuali. Nel caso specifico, la società locatrice sosteneva di aver concordato con il locatario una riduzione del canone, ma questa modifica non era stata formalizzata con un accordo scritto.
La Cassazione ha ribadito che, per escludere l’imponibilità di un canone, è necessario dimostrare la modifica contrattuale in modo inequivocabile. Ciò significa che le parti devono formalizzare per iscritto qualsiasi variazione degli obblighi contrattuali, come la riduzione del canone, affinché questa sia valida anche ai fini fiscali.
Questo principio è stato confermato anche in precedenti pronunce della Corte (Cass. n. 11556/2018, Cass. n. 30372/2019 e Cass. n. 22906/2020), che hanno chiarito come l’imponibilità dei canoni maturati si estenda fino alla risoluzione del contratto o alla modifica formale dello stesso.
La distinzione tra principi iva e redditi d’impresa
Un altro punto interessante della sentenza riguarda il diverso trattamento fiscale tra IVA e redditi d’impresa. La Commissione tributaria regionale, nel giudizio di secondo grado, aveva valutato il caso esclusivamente in base alle regole dell’IVA, trascurando il principio di competenza applicabile alle imposte sui redditi (IRES e IRAP).
La Cassazione ha censurato questo approccio, sottolineando che le regole dell’IVA non possono essere automaticamente estese ai redditi d’impresa, poiché seguono logiche diverse. Mentre l’IVA è un’imposta legata al momento di effettiva realizzazione dell’operazione, le imposte sui redditi si basano sul principio di competenza, che tiene conto della maturazione economica dei ricavi.
Implicazioni per i contribuenti
Questa sentenza rappresenta un monito importante per le imprese e i professionisti. La mancata riscossione di un canone di locazione non esime dalla sua tassazione, a meno che non vi siano elementi oggettivi e documentati (come un accordo scritto o un provvedimento giudiziario) che certifichino la modifica o la risoluzione del contratto.
Per evitare contestazioni, è fondamentale:
- Formalizzare per iscritto qualsiasi modifica ai contratti di locazione.
- Prestare attenzione al principio di competenza nella redazione dei bilanci e delle dichiarazioni fiscali.
- Consultare un professionista fiscale per gestire correttamente situazioni complesse come la morosità dei conduttori.
In definitiva, la sentenza n. 33303/2024 della Cassazione rafforza l’importanza della certezza e tracciabilità dei rapporti contrattuali ai fini fiscali, ribadendo che i canoni maturati, anche se non riscossi, devono essere sempre considerati imponibili.