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La possibilità di escludere il recesso ad nutum nei contratti d’opera con termine finale

13 Febbraio, 2025

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 1375 del 20 gennaio 2025) ha confermato un principio giuridico di grande rilievo per i rapporti contrattuali legati alle prestazioni d’opera professionale. Il tema centrale è la possibilità di derogare al diritto di recesso ad nutum del cliente, previsto dall’articolo 2237, comma 1, del Codice Civile, quando il contratto preveda un termine finale. Pur trattandosi di una norma derogabile, l’effettiva esclusione di tale diritto richiede un’attenta analisi delle volontà delle parti e del contenuto complessivo del contratto. L’ordinanza, oltre a chiarire importanti aspetti sostanziali, si sofferma anche su questioni procedurali legate alla validità formale delle sentenze.

Il recesso ad nutum e la sua disciplina generale

Il diritto di recesso ad nutum consente a una delle parti, generalmente il cliente in un contratto d’opera professionale, di risolvere il rapporto contrattuale senza necessità di giustificazione o di motivazione, purché vengano rispettati eventuali termini di preavviso pattuiti o stabiliti dalla legge. Questo diritto è sancito dall’articolo 2237, comma 1, del Codice Civile e si fonda sull’esigenza di tutelare la libertà del cliente, che potrebbe non voler proseguire il rapporto per ragioni personali o professionali.

Tuttavia, la Cassazione ha più volte affermato che questa norma non ha carattere inderogabile. Le parti, infatti, possono decidere di limitare o escludere la facoltà di recesso, soprattutto quando il contratto prevede una collaborazione continuativa e un termine finale. La possibilità di deroga, però, non è automatica: è necessario che l’esclusione del recesso risulti chiaramente dalla volontà delle parti e dalle circostanze del contratto.

Ad esempio, nel caso di un professionista incaricato di svolgere attività di consulenza legale per un’azienda per un periodo di tre anni, il contratto potrebbe prevedere che il rapporto sia vincolante fino alla scadenza, impedendo al cliente di interromperlo unilateralmente. In assenza di una pattuizione chiara o di elementi che confermino questa intenzione, il diritto di recesso potrebbe essere comunque esercitato.

Quando e come il recesso ad nutum può essere escluso

La Corte di Cassazione ha sottolineato che la deroga al recesso ad nutum non richiede necessariamente un accordo esplicito o una clausola specifica. È sufficiente che il contratto preveda un termine di durata, purché questo sia riconducibile alla volontà delle parti di considerare il rapporto vincolante fino alla scadenza. Tuttavia, la presenza di un termine finale non è di per sé sufficiente a escludere il diritto di recesso. È fondamentale accertare che le parti abbiano inteso limitare la facoltà di interrompere anticipatamente il contratto.

Per verificare questa volontà, il giudice deve esaminare l’intero contenuto del contratto e le circostanze in cui è stato stipulato. Non basta rilevare l’esistenza di un termine temporale; è necessario valutare se il contratto contenga altri elementi che confermino l’intenzione di escludere il recesso ad nutum. Ad esempio, clausole che prevedano penali per l’interruzione anticipata o che regolino dettagliatamente le modalità di esecuzione del rapporto possono indicare che le parti abbiano voluto limitare la libertà di recesso.

Nel caso oggetto della recente ordinanza, il contratto riguardava la manutenzione di parti condominiali ed era stato stipulato con l’indicazione di un termine di durata. Il professionista aveva agito in giudizio sostenendo che la controparte avesse esercitato il recesso senza rispettare i termini di preavviso previsti, chiedendo il pagamento dei compensi relativi al periodo successivo alla disdetta. I giudici di merito, tuttavia, avevano respinto la domanda, ritenendo che la presenza di un termine non fosse sufficiente a escludere il recesso ad nutum. La Cassazione ha invece cassato la sentenza, rilevando che i giudici avrebbero dovuto verificare se il termine fosse stato pattuito con l’intento di escludere il diritto di recesso.

L’accertamento della volontà delle parti da parte del giudice

La Corte ha ribadito che l’accertamento della volontà delle parti è un compito riservato al giudice di merito, il quale deve valutare tutte le circostanze del caso concreto. Questo accertamento non può limitarsi a constatare la presenza di un termine finale o la mancanza di una clausola esplicita di deroga. Il giudice deve esaminare il contenuto complessivo del contratto, tenendo conto delle finalità del rapporto, delle dichiarazioni delle parti e di eventuali elementi accessori che possano indicare un’intenzione comune di escludere il recesso ad nutum.

La decisione della Cassazione sottolinea anche l’importanza di motivare adeguatamente le sentenze in materia interpretativa. Una motivazione carente o superficiale può compromettere la corretta applicazione del diritto e portare a un annullamento della decisione in sede di legittimità. Nel caso analizzato, la Suprema Corte ha evidenziato che i giudici di merito non avevano adeguatamente approfondito il significato del termine finale indicato nel contratto, limitandosi a considerarlo insufficiente per escludere il diritto di recesso.

Aspetti procedurali e validità formale delle sentenze

Un altro tema affrontato dall’ordinanza riguarda un vizio formale denunciato dal ricorrente, ossia l’assenza dei nominativi dei giudici nell’intestazione della sentenza d’appello. La Corte di Cassazione ha chiarito che tale omissione non determina la nullità della sentenza, purché vi sia coincidenza tra i giudici che hanno partecipato alla discussione e quelli che hanno deliberato, come previsto dall’articolo 276, comma 1, del Codice di Procedura Civile.

La Suprema Corte ha inoltre precisato che eventuali omissioni o errori materiali nell’intestazione della sentenza possono essere corretti ai sensi degli articoli 287 e 288 del Codice di Procedura Civile, purché non incidano sulla sostanza della decisione. Questa interpretazione è coerente con la giurisprudenza consolidata, che attribuisce valore probatorio alle risultanze del verbale di udienza, considerato il documento principale per verificare la regolarità del procedimento.

Implicazioni per professionisti e clienti

L’ordinanza n. 1375 del 2025 rappresenta un importante chiarimento sulla possibilità di limitare il recesso ad nutum nei contratti d’opera professionale. La Cassazione ha ribadito che questa facoltà può essere esclusa, ma solo se ciò emerge chiaramente dalla volontà delle parti e dal contenuto complessivo del contratto. Per i professionisti, questo significa che è possibile tutelarsi da interruzioni anticipate insistendo su contratti ben strutturati e dettagliati. Per i clienti, la sentenza evidenzia l’importanza di valutare attentamente le clausole che regolano il rapporto, per evitare vincoli non desiderati.

In un contesto giuridico sempre più complesso, la chiarezza e la precisione degli accordi contrattuali sono strumenti fondamentali per prevenire controversie e garantire il rispetto delle volontà reciproche. La sentenza della Cassazione, oltre a fornire una guida interpretativa, rappresenta un monito per tutti gli operatori del diritto sull’importanza di una redazione contrattuale accurata e conforme ai principi giuridici.

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