Il tema del mancato versamento delle ritenute da parte del datore di lavoro, disciplinato dall’art. 10-bis del D.lgs. n. 74/2000, torna al centro dell’attenzione con una recente sentenza della Cassazione (n. 530/2025). La Corte ha chiarito che, senza la prova della consegna delle certificazioni ai dipendenti, non si può configurare il reato penale. Questo principio si inserisce in un quadro normativo e giurisprudenziale complesso, che richiede un’attenta lettura per comprenderne le implicazioni, sia per i professionisti del settore sia per chi si avvicina al tema per la prima volta.
Il contesto normativo: cosa prevede l’art. 10-bis del D.lgs. n. 74/2000
L’art. 10-bis del D.lgs. n. 74/2000 punisce chi non versa, entro i termini previsti per la presentazione della dichiarazione annuale del modello 770, le ritenute certificate ai dipendenti, qualora l’importo superi la soglia di punibilità di 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta.
Tuttavia, il quadro è stato modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 115 del 2022, che ha dichiarato l’illegittimità della parte del testo normativo che faceva riferimento alle ritenute “dovute sulla base della dichiarazione”. La Corte ha stabilito che, per configurare il reato, è necessario che il mancato versamento riguardi le ritenute certificate, ossia quelle per cui esiste una prova tangibile della consegna delle certificazioni ai sostituiti (i dipendenti).
La differenza non è di poco conto: mentre le ritenute “dichiarate” si basano sui dati trasmessi all’Agenzia delle Entrate, le ritenute “certificate” richiedono un rapporto diretto con i dipendenti, che devono ricevere materialmente il documento attestante le ritenute operate.
La sentenza della Cassazione: la centralità delle certificazioni
Nel caso specifico, il presidente di una S.r.l. era stato condannato a sei anni di reclusione per omesso versamento di ritenute superiori a 150.000 euro negli anni 2015 e 2016. La condanna si basava esclusivamente sulle certificazioni inviate telematicamente all’Agenzia delle Entrate, senza che fosse stata acquisita prova della loro effettiva consegna ai dipendenti.
La Cassazione ha cassato la sentenza con rinvio, rilevando che l’inoltro telematico delle certificazioni non è equiparabile alla consegna materiale delle stesse ai dipendenti. Secondo i giudici, il reato di omesso versamento richiede una prova concreta del rilascio delle certificazioni, poiché solo queste attestano l’entità delle ritenute effettivamente operate e non versate.
La Corte ha sottolineato che la normativa vigente distingue chiaramente tra la dichiarazione trasmessa all’Agenzia e le certificazioni che devono essere rilasciate ai dipendenti. L’invio telematico, per quanto obbligatorio, non soddisfa il requisito della consegna al sostituito, che rappresenta un passaggio imprescindibile per configurare il reato penale.
Il principio ribadito: invio telematico e consegna diretta non coincidono
Un punto chiave della sentenza è la distinzione tra l’invio telematico delle dichiarazioni e la consegna diretta delle certificazioni. La normativa fiscale, infatti, prevede che il datore di lavoro debba adempiere a due obblighi distinti:
- Trasmettere all’Agenzia delle Entrate il modello 770 e le certificazioni uniche;
- Rilasciare le certificazioni ai dipendenti, affinché questi abbiano prova delle ritenute operate e possano utilizzarle per la dichiarazione dei redditi.
La Cassazione ha ribadito che il semplice caricamento telematico dei documenti sull’apposito portale non può essere considerato equivalente alla consegna diretta al lavoratore. Questo perché, pur essendo i certificati disponibili online, non si può presumere che tutti i dipendenti abbiano la possibilità o i mezzi per accedervi.
Un esempio pratico può chiarire meglio il concetto: immaginiamo un dipendente che non riceve la certificazione unica in formato cartaceo o digitale direttamente dal datore di lavoro. Anche se il documento è stato caricato sul portale dell’Agenzia delle Entrate, il dipendente potrebbe non essere in grado di accedervi per mancanza di competenze informatiche o strumenti adeguati. In tal caso, non si avrebbe la certezza che il lavoratore sia stato realmente informato delle ritenute operate.
Le implicazioni per i datori di lavoro
La sentenza della Cassazione ha importanti ripercussioni pratiche per i datori di lavoro. Per evitare conseguenze penali, è fondamentale:
- Conservare la prova del rilascio delle certificazioni ai dipendenti, sia in formato cartaceo che digitale. Ad esempio, un documento firmato dal dipendente che attesti la ricezione della certificazione può rappresentare una prova valida;
- Non fare affidamento esclusivo sull’invio telematico dei dati all’Agenzia delle Entrate, che, seppur obbligatorio, non sostituisce la consegna diretta al lavoratore;
- Prestare attenzione ai termini di consegna delle certificazioni, poiché eventuali ritardi potrebbero aggravare la posizione del datore di lavoro in caso di contestazioni.
Conclusione
La pronuncia della Cassazione rappresenta un monito per i datori di lavoro: l’invio telematico delle certificazioni non basta a configurare il rispetto degli obblighi fiscali. È necessario garantire la consegna diretta delle certificazioni ai dipendenti, altrimenti il rischio è quello di incorrere in pesanti sanzioni amministrative o penali.