La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 31924 dell’11 dicembre 2024, ha ribadito che i vantaggi tributari riservati alle associazioni sportive dilettantistiche non sono attribuiti in automatico, ma vanno riconosciuti solo a quegli enti che, dietro il rispetto di alcuni requisiti formali, dimostrino un’effettiva attività non lucrativa. Le regole previste dall’articolo 1 della legge 398/1991, dunque, non si limitano ai profili cartacei: occorre fornire prove sostanziali di un autentico spirito dilettantistico e di un’assenza reale di fini commerciali.
La legge 398/1991: opportunità e vincoli
La legge n. 398/1991, in vigore da oltre trent’anni, propone un regime agevolato per le associazioni sportive dilettantistiche, consentendo una determinazione semplificata del reddito imponibile e la possibilità di accedere a procedure contabili meno rigide. Questa norma prevede, tra gli altri vantaggi, una sorta di flat tax e una riduzione degli obblighi formali in ambito Iva. L’obiettivo centrale del legislatore è rendere più gestibili gli adempimenti fiscali di realtà che favoriscono la diffusione dello sport a livello amatoriale, purché l’attività sia effettivamente priva di scopo di lucro e rispetti criteri di democraticità interna.
Nell’impostazione originaria, il regime era stato pensato per agevolare quelle realtà associative che spesso si autofinanziano grazie a piccole sponsorizzazioni, ai contributi dei soci e alle quote di iscrizione ai corsi. La forma giuridica di asd diventa però inaccettabile quando, dietro il paravento del dilettantismo, si nascondono operazioni commerciali vere e proprie volte a generare profitti.
L’intervento dell’amministrazione finanziaria
Nella vicenda analizzata dai giudici di legittimità, l’Agenzia delle entrate aveva sottoposto a controllo un’associazione che si qualificava come sportiva dilettantistica e che, a proprio dire, godeva dei benefici fiscali stabiliti dalla legge 398/1991. Gli ispettori, dopo un esame dei documenti e delle attività pratiche, avevano messo in dubbio la natura non lucrativa dell’ente, rilevando aspetti considerati incoerenti con il carattere dilettantistico dichiarato.
Tra le contestazioni figuravano la mancata tenuta formale del libro soci, la gestione poco trasparente delle assemblee e alcuni adempimenti omessi o non rispettati nei termini, come la presentazione tardiva del modello Eas. L’Amministrazione finanziaria sospettava che, dietro la presunta asd, si celasse un modello imprenditoriale finalizzato a ottenere indebite riduzioni d’imposta.
Pronuncia dei giudici tributari
Le prime due corti di merito (provinciale e regionale) avevano accolto il ricorso dell’associazione, sottolineando che l’omissione di alcuni passaggi formali non compromette in automatico l’accesso al regime di favore, se comunque si riesce a fornire una documentazione sufficiente a dimostrare la partecipazione alle attività sportive e la mancanza di un’intenzione lucrativa. In particolare, era stato rilevato che l’incompletezza della denominazione sociale, l’assenza di un libro soci in formato tradizionale e la scarsa affluenza alle riunioni non costituivano, di per sé, prove inequivocabili di un’impresa mascherata da associazione.
I giudici di merito avevano inoltre sottolineato che la comunicazione tardiva di alcuni dati fiscali, come nel caso del modello Eas, non comporta necessariamente la fuoriuscita dal regime agevolato se l’ente dimostra di aver effettivamente svolto attività di carattere ludico-sportivo, senza generare profitti da redistribuire.
Cassazione: la sostanza prevale sulla forma
La Suprema corte, però, ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria. In linea con precedenti decisioni (fra cui Cass. n. 30008/2021 e n. 6361/2023), i giudici hanno ribadito che non è sufficiente la mera adesione alle formalità previste dalla legge 398/1991 e dagli statuti tipici delle asd: l’assenza di scopo di lucro deve risultare in modo concreto, altrimenti si rischia di legittimare strutture finalizzate a eludere l’imposizione fiscale.
La Corte ha spiegato che il momento determinante è la verifica effettiva della vita associativa: occorre controllare se i soci partecipano davvero alle iniziative sportive, se le assemblee sono indette con modalità democratiche, se l’ente persegue finalità di promozione sportiva a carattere non professionistico oppure agisce come un soggetto commerciale. L’assenza di un dato formale non sempre determina la perdita del regime, ma deve comunque emergere con chiarezza che le attività non servono a produrre utili per i dirigenti o per i soci. In assenza di una prova reale, le agevolazioni vengono meno.
La verifica dell’effettiva natura dilettantistica
La Cassazione ha rimarcato che l’onere di provare la genuinità del fine dilettantistico spetta alla stessa associazione, la quale deve fornire testimonianze, documenti e qualsiasi elemento utile a dimostrare che non vi sia un impiego speculativo della struttura. Non basta dichiarare di essere affiliati a un ente riconosciuto dal CONI o presentare uno statuto che vieti la distribuzione di utili in caso di scioglimento. Serve un riscontro puntuale che includa, ad esempio, le evidenze contabili sulle quote di partecipazione, la tracciabilità delle spese per l’organizzazione di tornei e manifestazioni, la rendicontazione delle sponsorizzazioni e il reale coinvolgimento dei soci nelle decisioni comuni.
A titolo esemplificativo, una piccola associazione calcistica di quartiere che organizza tornei per ragazzi, con una quota di partecipazione simbolica e bilanci trasparenti, può dimostrare più facilmente la propria finalità sociale, a differenza di un ente che intasca elevate somme d’iscrizione e le destina prevalentemente a compensi sproporzionati per i propri dirigenti. In tale scenario, la forma asd si rivelerebbe un mero artificio per sottrarsi al regime fiscale ordinario.
Conclusioni
La sentenza in esame, disponendo il rinvio a un’altra sezione della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, chiarisce che la questione va scrutinata con maggiore approfondimento, superando i soli dati formali e concentrandosi sull’analisi effettiva della gestione e delle finalità dell’associazione. I benefici di cui alla legge n. 398/1991 spettano unicamente alle organizzazioni che agiscono davvero in ambito dilettantistico e senza scopo di lucro. Qualora emergano significativi indizi di un’attività commerciale camuffata, l’Amministrazione finanziaria può legittimamente riclassificare i proventi dell’ente, applicando l’ordinario regime d’imposizione.
Il principio di fondo, già espresso in varie pronunce della Suprema corte (Cass. n. 10393/2018, n. 11492/2019, n. 25353/2020, n. 29500/2020), si riconduce all’idea che un regolare statuto non basta: i giudici valuteranno ogni aspetto concreto, richiedendo, a chi rivendica l’agevolazione, prove tangibili dell’autentico spirito associativo. La protezione normativa, quindi, non può essere interpretata come un passaporto verso la riduzione fiscale automatica, ma resta vincolata alla sostanza delle relazioni tra soci, delle attività sportive e dell’utilizzo dei fondi raccolti.
Schema di sintesi
In pillole | |
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Sentenza della Cassazione | Ordinanza n. 31924 dell’11 dicembre 2024 ribadisce che i vantaggi tributari per le ASD non sono automatici, ma subordinati alla dimostrazione di un’effettiva attività non lucrativa e dilettantistica. |
Regime agevolato della legge 398/1991 | Questa legge prevede vantaggi fiscali, tra cui una flat tax e obblighi IVA ridotti, per le ASD che promuovono lo sport amatoriale, rispettando la non lucratività e criteri di democraticità interna. |
Finalità della normativa | Favorire le realtà sportive dilettantistiche autentiche, spesso autofinanziate da sponsorizzazioni, contributi dei soci e quote d’iscrizione. |
Abusi del regime agevolato | La forma giuridica di ASD non è accettabile se maschera attività commerciali con fini di lucro. |
Vicenda giudiziaria analizzata | Un’associazione, sottoposta a controllo dall’Agenzia delle Entrate, è stata accusata di incoerenza con la natura dilettantistica per omissioni amministrative e presunti fini lucrativi. |
Contestazioni dell’Amministrazione | Mancata tenuta del libro soci, gestione assemblee poco trasparente, adempimenti tardivi (es. modello Eas). Si ipotizzava un modello imprenditoriale volto a ridurre indebitamente le imposte. |
Decisioni di merito | Le Corti di primo e secondo grado hanno sostenuto che alcune irregolarità formali non compromettono l’accesso al regime agevolato se l’attività non è lucrativa. |
Pronuncia della Cassazione | La Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, affermando che la sostanza prevale sulla forma: l’assenza di scopo di lucro deve essere dimostrata concretamente. |
Verifica della vita associativa | Sono necessari controlli sull’effettiva partecipazione dei soci, sulla democraticità delle assemblee e sull’assenza di fini commerciali per confermare la natura dilettantistica. |
Onere della prova | Spetta all’associazione dimostrare con documenti e altre evidenze che l’attività è autenticamente dilettantistica e non speculativa. |