Nel panorama delle piccole e medie imprese italiane, è frequente imbattersi in situazioni in cui un individuo ricopre contemporaneamente il ruolo di amministratore societario e di lavoratore dipendente all’interno della stessa azienda. Questa pratica, sebbene non espressamente vietata dalla legge, solleva numerose questioni di natura giuridica e previdenziale che meritano un’attenta analisi. Il presente articolo si propone di esplorare le condizioni che rendono possibile tale cumulo di ruoli, evidenziando al contempo i potenziali rischi, soprattutto in ambito pensionistico, che potrebbero derivare da una non corretta gestione di questa duplice posizione.
Il quadro normativo e giurisprudenziale
La legislazione italiana non prevede una preclusione esplicita alla cumulabilità delle cariche societarie con un rapporto di lavoro subordinato nella medesima impresa. L’unica eccezione riguarda la figura del sindaco, per la quale l’articolo 2399 del Codice Civile stabilisce un’incompatibilità specifica. In assenza di divieti normativi, la dottrina e la giurisprudenza hanno sviluppato nel tempo un orientamento che, in linea di principio, ammette la possibilità di un cumulo tra la posizione di amministratore e quella di lavoratore dipendente.
Tuttavia, questa apertura non è incondizionata. La Corte di Cassazione, attraverso numerose sentenze, ha delineato i criteri necessari affinché tale cumulo possa essere considerato legittimo. In particolare, è stato stabilito che la qualifica di amministratore di una società di capitali può coesistere con quella di lavoratore subordinato solo quando si accerti concretamente lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale, con una effettiva subordinazione gerarchica e disciplinare.
Condizioni per la compatibilità
Per determinare la legittimità del cumulo, è necessario verificare la presenza di alcuni elementi fondamentali. In primo luogo, l’amministratore deve svolgere, oltre alle funzioni proprie del suo ruolo, attività chiaramente distinte e riconducibili a un rapporto di lavoro subordinato. Queste attività devono essere retribuite separatamente rispetto al compenso percepito per la carica societaria.In secondo luogo, è fondamentale che l’amministratore sia sottoposto a un effettivo potere di controllo e direzione da parte di un altro organo sociale. Questo significa che l’amministratore non deve detenere tutti i poteri di direzione e amministrazione della società, ma deve essere soggetto alle decisioni di altri amministratori o organi societari, che possono anche contrastare con la sua volontà.
Infine, è essenziale che l’amministratore sia pienamente assoggettato al potere direttivo e al controllo di un organo sociale sostanzialmente indipendente da lui. Questo requisito mira a garantire che vi sia una reale subordinazione e non una mera finzione giuridica.
Amministratore unico e presidente del CdA
La giurisprudenza ha escluso la compatibilità del rapporto di lavoro subordinato con la carica di amministratore unico. Questa posizione si basa sul principio che l’amministratore unico rappresenta il vertice supremo della società e opera in piena autonomia, senza alcun vincolo di subordinazione gerarchica. Analogamente, anche la figura del presidente del Consiglio di Amministrazione con pieni poteri (cosiddetto “plenipotenziario”) è considerata incompatibile con un rapporto di lavoro subordinato.
Diverso è il caso del presidente del CdA che sia soggetto alle decisioni del consiglio stesso e ne sia solamente “espressione esterna”. In questa situazione, la compatibilità con un rapporto di lavoro subordinato potrebbe essere ammessa, sempre che siano rispettate le condizioni generali precedentemente illustrate.
La posizione dell’INPS
L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) ha fornito importanti chiarimenti sulla questione attraverso il messaggio n. 3359/2019. L’Istituto ha recepito l’orientamento giurisprudenziale più recente, fornendo linee guida per valutare la compatibilità tra cariche societarie e lavoro dipendente.Secondo l’INPS, la carica di membro o presidente del consiglio di amministrazione non è di per sé incompatibile con l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, purché sia sottoposta alle direttive e al controllo dell’organo collegiale. Al contrario, l’amministratore unico, essendo detentore del potere di esprimere da solo la volontà dell’ente sociale, non può essere considerato compatibile con la posizione di lavoratore dipendente.
Per quanto riguarda l’amministratore delegato, la valutazione dipende dalla portata della delega conferita dal consiglio di amministrazione. Se la delega è molto ampia e conferisce poteri di gestione quasi illimitati, la compatibilità con un rapporto di lavoro subordinato diventa difficile da sostenere.
Rischi previdenziali
La questione del cumulo tra cariche societarie e lavoro subordinato assume particolare rilevanza in ambito previdenziale. L’INPS, infatti, potrebbe disconoscere l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato qualora ritenesse che l’attività di amministratore sia incompatibile con il vincolo di subordinazione.
In tali circostanze, le conseguenze per il lavoratore potrebbero essere significative. L’amministratore potrebbe vedersi negato il diritto alla percezione della pensione basata sui contributi versati come lavoratore subordinato. In questo scenario, avrebbe diritto al rimborso dei contributi versati, maggiorati degli interessi, ma non al trattamento pensionistico corrispondente.
Questo rischio sottolinea l’importanza di una corretta configurazione e gestione del rapporto tra la società e l’amministratore-dipendente. È fondamentale che la distinzione tra le due posizioni sia chiara e sostanziale, non solo formale, e che siano rispettati tutti i requisiti stabiliti dalla giurisprudenza e dalle indicazioni dell’INPS.
Conclusioni
La possibilità di cumulare cariche societarie con un rapporto di lavoro subordinato rappresenta un’opportunità per molte realtà aziendali, soprattutto di piccole dimensioni. Tuttavia, questa pratica richiede una gestione attenta e consapevole dei rischi ad essa associati.
È fondamentale che le aziende e gli amministratori interessati a questa configurazione valutino attentamente la loro situazione specifica, assicurandosi di rispettare tutti i criteri stabiliti dalla giurisprudenza e dalle autorità previdenziali. Una particolare attenzione deve essere posta alla chiara distinzione tra le mansioni svolte come amministratore e quelle proprie del rapporto di lavoro subordinato, nonché all’effettiva sussistenza di un potere di controllo e direzione da parte di altri organi societari.