Le recenti cronache giudiziarie hanno messo in luce un fenomeno allarmante: i sequestri milionari di crediti d’imposta inesistenti legati alle frodi in ambito bonus edilizi. Questo scenario solleva interrogativi cruciali sulla posizione dei cessionari di tali crediti, in bilico tra responsabilità tributaria e penale. L’articolo analizza la delicata questione della configurabilità del reato di indebita compensazione ex articolo 10-quater D.Lgs. 74/2000 in capo ai cessionari, evidenziando come la responsabilità penale scatti solo in presenza di dolo eventuale, elemento ben distinto dalla colpa anche grave. Un aspetto fondamentale per professionisti e imprese che operano nel settore della cessione dei crediti fiscali, soprattutto in un contesto normativo in costante evoluzione.
Lo scenario attuale delle frodi sui crediti d’imposta
Il panorama recente dei controlli fiscali presenta numeri impressionanti. Solo nel febbraio 2025, le operazioni della Guardia di Finanza hanno portato al sequestro di crediti d’imposta inesistenti per valori considerevoli: 65 milioni a Milano, 10 milioni a Trento, 1,7 milioni a Fermo. Cifre che testimoniano la capillarità e la rilevanza economica di un fenomeno fraudolento diffuso a livello nazionale, con particolare incidenza nel settore del superbonus e degli altri bonus edilizi.
Questa situazione impone una riflessione approfondita sulla posizione dei soggetti che acquisiscono tali crediti, spesso ignari – o presunti tali – della loro origine illecita. La questione assume particolare rilevanza giuridica considerando il duplice binario di responsabilità: quella tributaria, già delineata dall’articolo 121, comma 4, D.L. 34/2020, e quella penale, potenzialmente riconducibile al reato di indebita compensazione previsto dall’articolo 10-quater del D.Lgs. 74/2000.
La struttura del reato di indebita compensazione
Il reato di indebita compensazione rappresenta una fattispecie articolata che merita un’analisi puntuale sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo.
L’articolo 10-quater del D.Lgs. 74/2000 punisce “chiunque non versa le somme dovute utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 D.Lgs. 241/1997, crediti viziati per un importo superiore a 50.000 euro”. La norma distingue chiaramente due ipotesi delittuose con pene differenziate:
- Utilizzo in compensazione di crediti “non spettanti”: reclusione da 6 mesi a 2 anni;
- Utilizzo in compensazione di crediti “inesistenti”: reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni.
La distinzione tra crediti “non spettanti” e “inesistenti” trova oggi una definizione unitaria tra ambito penale e tributario, grazie alla Riforma fiscale che ha introdotto le lettere g-quater) nn. 1) e 2), e g-quinquies) nn. 1), 2) e 3) all’articolo 1, comma 1, D.Lgs. 74/2000. Questa unificazione concettuale, in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite Civili nella sentenza n. 34419 dell’11 dicembre 2023, comporta che la soglia di punibilità di 50.000 euro vada considerata autonomamente per ciascuna delle due ipotesi delittuose.
I soggetti attivi del reato
Sebbene la norma punisca genericamente “chiunque”, è evidente che il reato possa essere materialmente commesso solo da chi ha il potere di compensare i crediti fiscali in sede di versamento tramite modello F24. Ne consegue che, nel caso di società cessionarie di crediti fiscali inesistenti:
- La responsabilità ricadrà primariamente sull’amministratore o legale rappresentante;
- Potrà essere chiamato a rispondere anche il soggetto specificamente delegato alla gestione degli adempimenti fiscali;
- Potranno concorrere nel reato, ex articolo 110 c.p., altre figure quali:
- Il socio che favorisca l’operazione fraudolenta;
- Il consulente che fornisca consulenza consapevole (Cassazione n. 1999/2017);
- Il sindaco che esprima parere favorevole all’acquisto di crediti fiscali inesistenti (Cassazione n. 40324/2021).
È importante sottolineare che il reato di indebita compensazione non è incluso tra i “reati presupposto” previsti dal D.Lgs. 231/2001, escludendo così la responsabilità amministrativa diretta delle società.
La distinzione cruciale: dolo vs colpa
La questione più delicata riguarda l’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione del reato. Per la configurabilità della responsabilità penale è necessario il dolo, mentre per quella tributaria è sufficiente almeno la colpa o la colpa grave.
Questa distinzione risulta determinante nella pratica, considerando che l’articolo 121, comma 6, D.L. 34/2020 prevede conseguenze diverse in base all’elemento soggettivo:
- In caso di colpa: applicazione delle sanzioni previste per il concorrente nella violazione, ex articolo 9, D.Lgs. 472/1997;
- In caso di colpa grave: responsabilità solidale eccezionale nel debito d’imposta del contribuente.
Il dolo eventuale: requisito minimo per la responsabilità penale
La giurisprudenza ha chiarito che per il delitto di indebita compensazione, anche relativamente a crediti “inesistenti” derivanti da operazioni fraudolente, non è richiesto il dolo specifico dell’evasione, ma è sufficiente il dolo eventuale.
Ma cosa si intende per dolo eventuale in questo contesto? Si tratta della situazione in cui il contribuente compensa scientemente il credito pur nella consapevolezza della probabile inesistenza dello stesso. La Suprema Corte, con la sentenza n. 47670/2023, ha opportunamente precisato che:
- Il dolo eventuale non coincide né con la negligenza, né con l’imprudenza, né con l’imperizia
- Esiste una differenza sostanziale tra:
- La scorretta gestione di obblighi precauzionali e di diligenza, che configura un addebito in termini di colpa (anche cosciente, a titolo di “dubbio irrisolto”), irrilevante ai fini penali;
- La “correzione di rotta” della propria volontà verso l’evento della compensazione, che viene realizzata a dubbio “sciolto”, nella consapevolezza che si sta contribuendo a un’evasione tributaria.
Un caso pratico: la due diligence del cessionario
Per comprendere meglio la distinzione, consideriamo il caso di una società che acquista crediti fiscali derivanti da bonus edilizi:
- Scenario A: La società effettua verifiche superficiali sulla provenienza dei crediti, omettendo controlli basilari sulla documentazione tecnica e fiscale. Questo comportamento configura negligenza o imprudenza (colpa), ma non necessariamente dolo eventuale;
- Scenario B: La società, pur avendo elementi concreti per dubitare della legittimità dei crediti decide comunque di procedere all’acquisto e alla compensazione, accettando il rischio che si tratti di crediti inesistenti. In questo caso, potrebbe configurarsi il dolo eventuale.
L’onere probatorio e le conseguenze pratiche
Un aspetto fondamentale evidenziato dalla giurisprudenza è che il dolo eventuale non coincide “con l’eventualità del dolo” e, dunque, non si presume, ma va dimostrato da parte del Pubblico Ministero.
Questa precisazione ha importanti ricadute pratiche: in assenza di prova del dolo, anche eventuale, i profili di colpa, anche cosciente, non sono idonei a far sorgere responsabilità penale in capo ai cessionari di crediti inesistenti. In tali casi, permangono esclusivamente i profili di responsabilità tributaria ai sensi dell’articolo 121, D.L. 34/2020.
Conclusioni
L’analisi della responsabilità penale dei cessionari di crediti fiscali inesistenti evidenzia un quadro giuridico articolato, in cui la distinzione tra dolo eventuale e colpa assume un ruolo determinante. La crescente diffusione delle frodi in materia di bonus edilizi impone ai soggetti coinvolti nella cessione dei crediti fiscali l’adozione di procedure di verifica rigorose, che vadano oltre la mera formalità.
Al contempo, l’orientamento giurisprudenziale che richiede la prova del dolo eventuale rappresenta una garanzia importante contro un’eccessiva estensione della responsabilità penale, salvaguardando i cessionari in buona fede che, pur avendo agito con negligenza o imprudenza, non hanno accettato consapevolmente il rischio di contribuire a un’evasione fiscale.
In sintesi
IN SINTESI
Qual è il fenomeno emerso recentemente in tema di frodi fiscali? Sono emerse frodi diffuse nel settore dei bonus edilizi con sequestri milionari di crediti d’imposta inesistenti, sollevando dubbi sulla responsabilità tributaria e penale dei cessionari. Cosa prevede il reato di indebita compensazione ex art. 10-quater D.Lgs. 74/2000? Questo reato punisce chi utilizza crediti fiscali inesistenti o non spettanti per importi superiori a 50.000 euro, con pene più severe per i crediti inesistenti. Chi può essere responsabile penalmente in questi casi? Principalmente l’amministratore o chi gestisce direttamente le compensazioni fiscali, ma possono concorrere anche soci, consulenti o sindaci se consapevoli della frode. Che differenza c’è tra dolo eventuale e colpa grave? Il dolo eventuale implica la consapevole accettazione del rischio di compensare crediti probabilmente inesistenti; la colpa grave è invece solo negligenza o imprudenza, sufficiente per la responsabilità tributaria ma non penale. In quali condizioni scatta la responsabilità penale per indebita compensazione? Solo in presenza di dolo eventuale, ovvero quando il soggetto procede alla compensazione pur avendo dubbi fondati sull’inesistenza del credito e accettando il relativo rischio. Chi deve dimostrare il dolo eventuale nei procedimenti giudiziari? Il Pubblico Ministero ha l’onere di dimostrare il dolo eventuale, che non si presume né coincide con la semplice colpa, anche se cosciente. Come devono comportarsi i cessionari per evitare la responsabilità penale? I cessionari devono adottare rigorose procedure di due diligence per evitare il rischio di integrare il dolo eventuale, garantendosi contro possibili contestazioni penali. |