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Compensazioni crediti inesistenti: i rischi per i professionisti tra consapevolezza e responsabilità

5 Febbraio, 2025

La compensazione indebita di crediti d’imposta inesistenti rappresenta un tema di grande attualità e complessità nel panorama fiscale italiano. Non solo i contribuenti rischiano pesanti sanzioni, ma anche i professionisti che li assistono, qualora consapevoli di irregolarità, possono incorrere in gravi responsabilità penali.

La compensazione indebita di crediti d’imposta

La compensazione di crediti d’imposta è uno strumento previsto dall’ordinamento fiscale per consentire ai contribuenti di utilizzare crediti maturati nei confronti dello Stato per estinguere debiti fiscali. Tuttavia, quando tali crediti sono inesistenti, ossia privi di presupposti oggettivi o soggettivi, o addirittura frutto di rappresentazioni fraudolente, si configura il reato di indebita compensazione, disciplinato dall’articolo 10-quater del Decreto Legislativo n. 74 del 2000.

La norma prevede pene severe per chi utilizza in compensazione crediti inesistenti per un importo superiore a 50.000 euro annui, con reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. Una sanzione ridotta (da sei mesi a due anni) si applica invece per i crediti non spettanti, ossia quei crediti che, pur esistenti, non sono utilizzabili per specifiche irregolarità. È importante sottolineare che la punibilità è esclusa in presenza di condizioni di obiettiva incertezza sugli elementi che fondano il credito, una clausola di salvaguardia che tutela il contribuente e il professionista in buona fede.

Il ruolo del professionista: tra consulenza e responsabilità

Uno degli aspetti più delicati riguarda il ruolo del professionista fiscale. La giurisprudenza ha chiarito che non basta essere estranei alla formazione dei crediti d’imposta per evitare responsabilità. Se il professionista contribuisce, anche solo trasmettendo deleghe di pagamento con crediti inesistenti, e lo fa in modo consapevole, può essere chiamato a rispondere del reato in concorso con il cliente.

Un caso emblematico è la sentenza della Corte di Cassazione n. 1220 del 13 gennaio 2025, che ha condannato un ragioniere responsabile di aver inviato, in modo seriale e abituale, deleghe di pagamento contenenti crediti inesistenti. La Corte ha evidenziato che la consapevolezza del professionista, unita alla ripetitività delle irregolarità, è sufficiente a configurare il concorso nel reato.

Per comprendere meglio, immaginiamo il caso di un consulente fiscale che trasmette deleghe di pagamento per diversi clienti, sapendo che i crediti utilizzati non sono validi. Anche se il consulente non ha partecipato alla creazione dei crediti, la sua azione consapevole di trasmissione costituisce un contributo causale rilevante per il reato.

Consapevolezza e responsabilità: il confine sottile

Ma cosa si intende per consapevolezza? È sufficiente che il professionista sospetti l’inesistenza dei crediti, o è necessario che ne abbia certezza? La questione è complessa e dipende da caso a caso.

Secondo la sentenza n. 37640 dell’11 aprile 2024, è sufficiente che il professionista sia consapevole della possibilità che i crediti siano inesistenti. Non è necessario che abbia una prova diretta o una conoscenza approfondita della loro formazione. Questa interpretazione amplia notevolmente il perimetro della responsabilità, richiedendo ai professionisti una maggiore cautela.

Tuttavia, la giurisprudenza distingue tra chi si limita a riportare i dati forniti dal cliente, senza alcuna verifica, e chi invece, pur non avendo creato i crediti, contribuisce attivamente alla loro compensazione. Nel primo caso, salvo situazioni di evidente mendacità, non si configura responsabilità penale; nel secondo caso, invece, la consapevolezza seriale e reiterata può essere determinante.

Un esempio pratico può chiarire la differenza. Se un commercialista riceve dal cliente un prospetto fiscale con un credito d’imposta e lo inserisce in dichiarazione senza ulteriori controlli, potrebbe non essere ritenuto responsabile, a meno che non emergano evidenti segnali di irregolarità. Al contrario, se lo stesso commercialista trasmette sistematicamente deleghe di pagamento con crediti inesistenti, è ragionevole supporre che sia consapevole delle irregolarità, configurando così il concorso nel reato.

Il contributo causale: un elemento chiave

Un altro aspetto cruciale è il cosiddetto contributo causale. Per configurare il concorso nel reato, è necessario dimostrare che il professionista abbia fornito un contributo materiale o morale alla condotta illecita del cliente.

La trasmissione di deleghe di pagamento, se effettuata in modo consapevole e abituale, rappresenta un contributo causale sufficiente. Questo perché il professionista, con la sua azione, facilita la realizzazione dell’illecito. Anche la conoscenza della materia fiscale può giocare un ruolo rilevante: un professionista esperto non può ignorare le implicazioni di crediti d’imposta privi di fondamento.

Consigli pratici per i professionisti

Alla luce della normativa e delle recenti sentenze, i professionisti devono adottare un approccio estremamente prudente nella gestione dei crediti d’imposta. È fondamentale:

  • Verificare sempre la documentazione fornita dal cliente, soprattutto in caso di crediti rilevanti.
  • Segnalare eventuali anomalie o irregolarità, evitando di trasmettere deleghe di pagamento dubbie.
  • Mantenere una tracciabilità delle comunicazioni con il cliente, per dimostrare la propria buona fede in caso di contestazioni.

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