L’Agenzia delle Entrate, con la recente risposta a interpello n. 50, ha fornito importanti chiarimenti sul trattamento fiscale dei conguagli tra soci che avvengono in occasione della cessione di partecipazioni societarie a terzi. Secondo l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, le somme che i soci si riconoscono reciprocamente sulla base di accordi autonomi rispetto al contratto di cessione non costituiscono capital gain, ma rappresentano redditi diversi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere. Questa qualificazione comporta un diverso regime fiscale per tali importi, con conseguenze significative sulla tassazione complessiva dell’operazione.
Il caso esaminato dall’Agenzia
La questione sottoposta al vaglio dell’Amministrazione finanziaria riguarda una situazione in cui due soci hanno ceduto complessivamente il 51% delle quote di una società a un soggetto terzo. La particolarità dell’operazione risiede nella ripartizione non proporzionale del corrispettivo pattuito, pari a 16 milioni di euro. Nel dettaglio, il primo socio ha ceduto una quota del 26,50% ricevendo 10,4 milioni di euro, mentre il secondo ha trasferito il 24,50% per un corrispettivo di 5,6 milioni di euro.
L’accordo tra le parti prevedeva anche la possibilità per l’acquirente di rilevare il restante 49% del capitale sociale (detenuto in misura paritaria dai due soci cedenti, ciascuno con il 24,50%), attraverso un’opzione di acquisto il cui prezzo sarebbe stato determinato in base a predefiniti parametri economico-finanziari, con esecuzione dell’operazione in due fasi distinte.
In questa seconda fase dell’operazione è emersa una complicazione: l’acquirente ha manifestato la propria indisponibilità a corrispondere prezzi differenziati ai soci per l’acquisto delle loro quote residue. Ciò ha indotto i soci a stipulare un accordo interno per regolare la ripartizione non proporzionale dei proventi derivanti dalla futura cessione, stabilendo che la distribuzione del corrispettivo sarebbe avvenuta valorizzando il contributo di ciascuno alla crescita e allo sviluppo della società nei periodi successivi alla prima cessione.
La natura fiscale del capital gain nella cessione di partecipazioni
Per comprendere la posizione dell’Agenzia, è necessario ricordare che la cessione di partecipazioni societarie da parte di persone fisiche genera redditi diversi qualificabili come capital gain ai sensi dell’articolo 67 del TUIR. Tali plusvalenze si determinano calcolando la differenza tra il corrispettivo percepito e il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, aumentato degli oneri inerenti alla sua produzione (inclusa l’eventuale imposta di successione o donazione, ma esclusi gli interessi passivi).
L’articolo 68, comma 6, del TUIR stabilisce precisamente le modalità di calcolo della plusvalenza imponibile. Un elemento fondamentale ai fini della tassazione è il momento in cui sorge il presupposto impositivo: la plusvalenza (o minusvalenza) si origina con il trasferimento della proprietà della partecipazione, ma diviene fiscalmente rilevante solo al momento della percezione del corrispettivo.
Nel caso in esame, i soci avevano anche beneficiato della rivalutazione delle partecipazioni ai sensi dell’articolo 5 della Legge 448/2001, circostanza che non consente di realizzare minusvalenze fiscalmente rilevanti.
L’interpretazione dell’Agenzia sui conguagli tra soci
L’elemento centrale della risposta dell’Agenzia delle Entrate riguarda la qualificazione fiscale del maggior importo che un socio riconosce all’altro in base agli accordi interni di ripartizione. Secondo l’Amministrazione finanziaria, tale somma non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 67 del TUIR e, pertanto, non può essere considerata come capital gain.
Ai fini del calcolo dell’eventuale plusvalenza, l’Agenzia ritiene che rilevi esclusivamente il corrispettivo percepito e formalmente indicato nell’atto di cessione, il quale deve essere confrontato con il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione.
La prima questione affrontata dall’Agenzia è se tali somme possano configurare una donazione. L’articolo 769 del Codice Civile definisce la donazione come “il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione”. Secondo l’Agenzia, nel caso specifico non può sussistere lo spirito di liberalità, poiché le somme non sarebbero erogate in assenza del contributo fornito dal socio per valorizzare la società.
La qualificazione come redditi diversi da obblighi di fare, non fare o permettere
Per inquadrare correttamente la fattispecie, l’Agenzia analizza la ratio della categoria dei redditi diversi, osservando che l’elencazione contenuta nell’articolo 67 del TUIR risponde alla necessità di assoggettare a tassazione tipologie eterogenee di redditi che, pur privi di collegamento tra loro, determinano un incremento di ricchezza per il contribuente in mancanza dei requisiti tipici previsti per le altre categorie reddituali.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, affinché si configuri un reddito diverso è necessario che si verifichi un accrescimento patrimoniale per il soggetto percettore, imputabile in rapporto di causa-effetto a una “fonte produttiva”.
Nel caso specifico, considerato che si verifica un accrescimento patrimoniale per il percettore e che gli accordi tra soci sono autonomi rispetto all’atto di cessione, l’Agenzia ritiene che le somme riconosciute eccedenti il corrispettivo della cessione della propria quota (indicato nell’atto) costituiscano redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera l) del TUIR. Tale disposizione individua, tra i redditi diversi, quelli derivanti “da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.
Conseguenze pratiche per i contribuenti
Questa interpretazione dell’Agenzia delle Entrate ha importanti ripercussioni pratiche per i contribuenti coinvolti in operazioni di cessione di partecipazioni con accordi di ripartizione non proporzionale del corrispettivo.
In primo luogo, la diversa qualificazione fiscale comporta l’applicazione di regimi impositivi differenti: mentre le plusvalenze da cessione di partecipazioni non qualificate sono soggette a imposta sostitutiva del 26%, i redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere concorrono alla formazione del reddito complessivo e sono tassati secondo le aliquote progressive IRPEF.
Inoltre, la distinzione tra i due regimi incide anche sugli obblighi dichiarativi: le plusvalenze da cessione di partecipazioni non qualificate possono essere indicate nel quadro RT del modello Redditi, mentre i redditi derivanti dall’assunzione di obblighi devono essere dichiarati nel quadro RL.
Esempio concreto di applicazione
Per comprendere meglio le implicazioni della posizione dell’Agenzia, consideriamo un esempio pratico ispirato al caso esaminato nell’interpello.
Ipotizziamo che i soci Rossi e Bianchi detengano ciascuno il 24,5% di una società e abbiano stipulato un accordo per la ripartizione del corrispettivo derivante dalla cessione delle loro quote a un terzo acquirente. In base a questo accordo, Rossi riceverà il 60% del corrispettivo totale e Bianchi il 40%, in considerazione del maggior contributo di Rossi allo sviluppo aziendale.
Se il corrispettivo totale è di 10 milioni di euro (5 milioni per ciascuna quota del 24,5%), in base all’accordo Rossi riceverà 6 milioni e Bianchi 4 milioni. Secondo l’interpretazione dell’Agenzia:
- Rossi dovrà dichiarare una plusvalenza calcolata come differenza tra 5 milioni (corrispettivo formale della sua quota) e il costo fiscale della partecipazione, soggetta a imposta sostitutiva del 26%;
- Il milione aggiuntivo ricevuto da Bianchi dovrà essere dichiarato come reddito diverso derivante dall’assunzione di obblighi, soggetto a tassazione IRPEF ordinaria.
Al contrario, Bianchi dichiarerà una plusvalenza calcolata sul corrispettivo formale di 5 milioni, ma dovrà considerare la corresponsione di 1 milione a Rossi come un costo inerente a un obbligo assunto.
In sintesi
IN SINTESI Qual è il tema centrale dell’articolo? L’articolo analizza la recente risposta dell’Agenzia delle Entrate in merito alla qualificazione fiscale dei conguagli tra soci in occasione della cessione di partecipazioni societarie, escludendo la loro natura di capital gain e qualificandoli invece come redditi diversi. Qual era il caso specifico esaminato dall’Agenzia? Due soci avevano ceduto il 51% delle quote di una società a un terzo per 16 milioni di euro, con una ripartizione non proporzionale del corrispettivo. In seguito, per la cessione del restante 49%, i soci hanno stipulato un accordo interno per redistribuire il valore delle quote in base al contributo di ciascuno allo sviluppo della società. Come viene normalmente tassato il capital gain nelle cessioni di partecipazioni? La plusvalenza da cessione di partecipazioni è considerata reddito diverso ai sensi dell’articolo 67 del TUIR, calcolata come la differenza tra il corrispettivo percepito e il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, con un’imposizione sostitutiva del 26%. Qual è la posizione dell’Agenzia delle Entrate sui conguagli tra soci? L’Agenzia esclude che tali somme rientrino nel capital gain, poiché derivano da accordi autonomi tra soci e non dal corrispettivo dell’atto di cessione. Di conseguenza, li qualifica come redditi diversi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere. Perché l’Agenzia esclude che si tratti di una donazione? Perché manca lo spirito di liberalità: le somme redistribuite tra soci non sono erogate senza una causa sottostante, ma dipendono dal contributo effettivo dei soci alla valorizzazione della società. Quali sono le implicazioni fiscali per i contribuenti? Le somme redistribuite tra soci saranno tassate come redditi diversi soggetti alle aliquote progressive IRPEF, invece che come plusvalenze soggette all’imposta sostitutiva del 26%. Questo comporta anche differenti obblighi dichiarativi nei modelli Redditi (quadro RL anziché quadro RT). |