La Cassazione mantiene un approccio rigoroso sulla responsabilità delle imprese per gli omessi versamenti tributari, anche in presenza di crisi di liquidità. La recente sentenza n. 13134/2025 conferma che l’imprenditore deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere agli obblighi fiscali, non bastando la semplice dichiarazione di difficoltà economiche per sfuggire alle conseguenze penali.
Quando la crisi di liquidità non scusa
La sentenza della Cassazione n. 13134, depositata il 4 aprile 2025, affronta il tema degli omessi versamenti fiscali in condizioni di difficoltà finanziaria dell’impresa. I giudici hanno chiarito che le modifiche introdotte dal D.Lgs. 87/2024 all’art. 13 del D.Lgs. 74/2000 non cambiano l’orientamento già consolidato: la crisi di liquidità rientra nel normale rischio d’impresa e non costituisce automaticamente una causa di esclusione della punibilità.
Il nuovo comma 3-bis dell’art. 13 stabilisce che i reati di omesso versamento delle ritenute (art. 10-bis) e dell’IVA (art. 10-ter) non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore, sopravvenute all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’IVA. La norma precisa che il giudice deve valutare la crisi non transitoria di liquidità causata da:
- Crediti inesigibili per insolvenza di terzi
- Sovraindebitamento
- Mancato pagamento da parte della pubblica amministrazione
- Impossibilità di esperire azioni per superare la crisi
Tuttavia, come evidenziato dalla Corte, non basta trovarsi in crisi di liquidità: l’imprenditore deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere all’obbligo tributario.
L’onere della prova grava sull’imprenditore
La Cassazione richiede una prova rigorosa che la crisi non sia imputabile alle scelte dell’imprenditore. Nel caso esaminato, i giudici hanno rilevato che il ricorrente aveva fornito solo indicazioni generiche sui committenti i cui ritardi avrebbero causato la crisi, citando senza riferimenti precisi una sentenza di condanna al pagamento di tre milioni di euro.
Decisive sono state le scelte imprenditoriali compiute: l’acquisto di numerosi immobili per l’attività edilizia, con l’accollo di debiti e la cancellazione di crediti. Secondo la Corte, queste operazioni dimostravano che la crisi di liquidità era frutto di “improvvide scelte imprenditoriali”, assunte accettando il rischio di non poter adempiere agli obblighi tributari (dolo eventuale).
L’orientamento conferma quanto già stabilito dalle sentenze n. 5804/2025 e n. 2613/2023: per escludere la responsabilità penale, l’imprenditore deve dimostrare che l’inadempimento deriva da fatti non imputabili a lui, che non ha potuto rimediare per cause indipendenti dalla sua volontà e fuori dal suo controllo.
Le iniziative necessarie per escludere la responsabilità
La giurisprudenza ha elaborato criteri specifici per valutare l’esclusione della responsabilità. L’imprenditore deve provare di aver:
- Tentato di reperire le risorse necessarie per il pagamento dei tributi, anche a costo di sacrifici personali;
- Ripartito equamente le risorse disponibili tra i vari creditori, senza favorire quelli privati rispetto all’Erario;
- Utilizzato eventuali attivi per il pagamento dei debiti tributari;
- Evitato investimenti rischiosi o non necessari in periodo di crisi.
Nel caso dell’IVA, se l’omesso versamento dipende dal mancato incasso per inadempimento altrui, l’imprenditore deve giustificare perché ha emesso fattura prima di ricevere il pagamento.
Rischio d’impresa e pianificazione fiscale
La sentenza ribadisce un principio fondamentale: il rischio d’impresa non può trasformarsi in un rischio per l’Erario. L’imprenditore ha il dovere di pianificare la propria attività tenendo conto degli obblighi tributari futuri.
La crisi di liquidità viene considerata un evento prevedibile nell’attività d’impresa, che richiede una gestione finanziaria prudente. Gli imprenditori devono accantonare le somme necessarie per i versamenti tributari, in particolare per l’IVA, che rappresenta un’imposta riscossa per conto dello Stato.
Le decisioni aziendali che compromettono la liquidità necessaria per adempiere agli obblighi fiscali, come investimenti immobiliari o accensione di nuovi debiti, possono essere considerate una manifestazione di dolo eventuale, ossia l’accettazione del rischio di non poter pagare le imposte.
Indicazioni pratiche per gli imprenditori
Alla luce di questa giurisprudenza, gli imprenditori dovrebbero:
- Documentare in modo dettagliato le cause della crisi di liquidità, con particolare attenzione ai crediti non riscossi;
- Conservare prove dei tentativi di recupero crediti e delle azioni intraprese per superare la crisi;
- Dimostrare di aver dato priorità ai debiti tributari rispetto ad altri pagamenti non essenziali;
- Evitare investimenti rischiosi o acquisizioni patrimoniali in periodi di difficoltà finanziaria;
- Valutare l’utilizzo degli strumenti di composizione della crisi previsti dalla legge.
La sentenza conferma che la Cassazione non ritiene sufficiente invocare genericamente la crisi economica o di settore, ma richiede la prova concreta dell’impossibilità di adempiere per cause non imputabili al contribuente.