La recente ordinanza n. 5429/2024 della Corte di Cassazione ha affrontato una questione di grande rilevanza per il funzionamento delle società a responsabilità limitata (SRL): l’interpretazione delle clausole statutarie che fissano il quorum deliberativo dell’assemblea in “almeno la metà del capitale sociale”. La Suprema Corte ha stabilito che tale previsione non può essere intesa nel senso di consentire l’approvazione delle delibere in caso di parità di voti favorevoli e contrari, ribadendo così il principio maggioritario che governa il funzionamento degli organi collegiali delle società di capitali.
Il caso di specie: una SRL con due soci in conflitto
La vicenda oggetto della pronuncia riguardava una SRL con una compagine sociale composta da due soci, ciascuno titolare del 50% delle quote. Lo statuto della società conteneva una clausola che prevedeva la possibilità di approvare le delibere assembleari con il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale. Nell’aprile del 2007, durante un’assemblea, il bilancio d’esercizio e la nomina del Collegio sindacale erano stati approvati con il voto favorevole di un solo socio, facendo leva sulla clausola statutaria sopra menzionata. L’altro socio, in disaccordo con tale decisione, aveva quindi impugnato la delibera dinanzi al Tribunale competente.
L’iter giudiziario: le decisioni dei giudici di merito
Il Tribunale adito, accogliendo il ricorso, aveva osservato che l’assemblea aveva in realtà adottato due distinte delibere: una di approvazione e una di non approvazione, entrambe con il medesimo quorum deliberativo. Di conseguenza, la delibera doveva considerarsi inesistente, poiché non esprimeva la volontà dei soci in modo univoco. Secondo il Tribunale, il principio maggioritario, pur potendo essere derogato, non può essere completamente annullato ritenendo sufficiente il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale. In una società con due soci in contrasto, l’organo collegiale non potrebbe funzionare correttamente, in quanto si avrebbero sempre due espressioni contrarie, ma di uguale valore, della volontà dei soci, rendendo impossibile individuare la volontà sociale. Per questi motivi, il Tribunale aveva qualificato la clausola statutaria come nulla o inesistente per contrarietà al principio maggioritario, aveva ritenuto illegittimamente formata la volontà della società e aveva ravvisato la causa di scioglimento della società per impossibilità di funzionamento dell’assemblea, ai sensi dell’art. 2484 comma 1 n. 3 c.c.
La decisione era stata poi confermata in sede di appello, dove i giudici avevano ribadito la nullità della previsione statutaria e sottolineato che, pur avendo il Tribunale utilizzato l’espressione “inesistenza” della delibera assembleare, in realtà l’aveva considerata annullabile per errato conteggio dei voti determinanti al raggiungimento della maggioranza. La Corte d’Appello aveva inoltre ritenuto correttamente accertato lo stato di scioglimento della società.
La pronuncia della Cassazione: il principio maggioritario prevale
Nel ricorso per Cassazione, veniva eccepita, tra l’altro, l’erronea affermazione della nullità della clausola statutaria. I giudici di legittimità, nel considerare tale motivo privo di pregio, hanno osservato come le decisioni di merito fossero da reputare corrette, in quanto avevano ritenuto non formata una valida deliberazione assembleare. Ciò non perché la clausola statutaria fosse nulla in sé, ma perché nessuna delle due volontà, uguali e contrarie, si era perfezionata in una delibera efficace.
La Suprema Corte ha richiamato le previsioni degli artt. 2479 ultimo comma e 2479-bis comma 3 c.c., che contemplano l’approvazione delle delibere con “il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale”, evidenziando come in tali disposizioni rilevi comunque il raggiungimento della maggioranza. Tuttavia, la locuzione in questione deve essere interpretata nel senso che la quota favorevole può essere pari a tale percentuale solo in assenza dell’espressione di una pari percentuale di voti in senso opposto, ovvero quando i soci presenti rappresentino meno del 100% del capitale. Quando, invece, come nel caso esaminato, il 50% del capitale approva e il 50% respinge la proposta, la maggioranza viene a mancare e la deliberazione non può dirsi validamente approvata. Tale interpretazione, osserva la Cassazione, è diretta conseguenza del principio maggioritario che governa il funzionamento degli organi collegiali delle società di capitali.
Conseguenze dello stallo decisionale e possibili rimedi
L’impossibilità di pervenire a una maggioranza, come evidenziato dalla Suprema Corte, determina l’impossibilità di funzionamento dell’assemblea, concretizzando la causa di scioglimento della società prevista dall’art. 2484 comma 1 n. 3 c.c. Tuttavia, in situazioni di questo tipo, potrebbero assumere rilevanza anche altri aspetti, come l’abuso del diritto di voto (il cosiddetto abuso del potere di blocco), i possibili vizi della deliberazione negativa, con i relativi rimedi, e le clausole anti-stallo che possono essere inserite nello statuto per prevenire o risolvere situazioni di paralisi decisionale.
Esempi pratici
Di seguito vengono forniti alcuni esempi pratici
Esempio #1
In una SRL con due soci al 50%, uno dei soci vota a favore dell’approvazione del bilancio d’esercizio, mentre l’altro vota contro. Applicando i principi stabiliti dalla Cassazione, la delibera non può considerarsi approvata e la società si trova in una situazione di stallo decisionale che potrebbe condurre al suo scioglimento.
Esempio #2
Una SRL ha tre soci, di cui due detengono ciascuno il 40% delle quote e il terzo il restante 20%. Durante un’assemblea convocata per deliberare sulla nomina dell’amministratore unico, i due soci al 40% esprimono voti contrari, mentre il socio al 20% si astiene. In questo caso, la delibera può considerarsi validamente approvata, poiché i voti favorevoli, pur rappresentando solo il 40% del capitale sociale, costituiscono la maggioranza dei voti espressi dai soci presenti.
Esempio #3
Lo statuto di una SRL con due soci al 50% prevede una clausola anti-stallo, secondo la quale, in caso di parità di voti favorevoli e contrari, la decisione finale spetta a un arbitratore nominato dal Presidente del Tribunale competente. In una situazione di stallo decisionale, i soci possono ricorrere a tale meccanismo per superare l’impasse e consentire il funzionamento dell’assemblea
Conclusioni
La sentenza della Cassazione offre diversi spunti di riflessione sul funzionamento delle SRL e sulle dinamiche interne alla compagine sociale. In primo luogo, emerge l’importanza di una corretta formulazione delle clausole statutarie, al fine di evitare interpretazioni ambigue o contrarie ai principi generali del diritto societario. È fondamentale che le previsioni relative ai quorum deliberativi siano chiare e coerenti con il principio maggioritario, evitando situazioni di stallo decisionale che possano compromettere la vita della società.
Inoltre, la pronuncia mette in luce la delicatezza dei rapporti tra soci nelle SRL, soprattutto quando la compagine sociale è ristretta e le quote di partecipazione sono equamente distribuite. In questi casi, è essenziale che i soci adottino un approccio collaborativo e orientato al compromesso, evitando comportamenti ostruzionistici o abusivi che possano paralizzare l’attività sociale. L’inserimento di clausole anti-stallo nello statuto può rappresentare una soluzione efficace per prevenire o risolvere situazioni di deadlock, ma richiede una attenta valutazione delle diverse opzioni disponibili e una chiara condivisione delle regole da parte di tutti i soci.
Infine, la sentenza della Cassazione ribadisce il ruolo centrale dell’assemblea dei soci quale organo deputato alla formazione della volontà sociale nelle SRL. L’impossibilità di pervenire a delibere valide a causa di una situazione di parità di voti contrapposti rappresenta una disfunzione grave, che può condurre allo scioglimento della società. Ciò impone una riflessione sull’importanza di un corretto funzionamento degli organi sociali e sulla necessità di trovare un equilibrio tra le istanze dei singoli soci e l’interesse generale della società.
Domande e risposte
D: Come deve essere interpretata una clausola statutaria di una SRL che fissa il quorum deliberativo dell’assemblea in “almeno la metà del capitale sociale”?
R: Secondo la Cassazione, tale clausola deve essere interpretata nel senso che la quota favorevole può essere pari a tale percentuale solo in assenza di una pari percentuale di voti contrari. In caso di parità di voti favorevoli e contrari, la delibera non può considerarsi validamente approvata.
D: Cosa succede se in una SRL con due soci al 50% non si riesce a raggiungere una maggioranza nelle delibere assembleari?
R: L’impossibilità di pervenire a una maggioranza determina l’impossibilità di funzionamento dell’assemblea, configurando una causa di scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484 comma 1 n. 3 c.c.
D: Quali strumenti possono essere utilizzati per superare situazioni di stallo decisionale in una SRL?
R: Per affrontare situazioni di parità di voti, è possibile fare riferimento a istituti come l’abuso del diritto di voto (abuso del potere di blocco), i rimedi contro i vizi della deliberazione negativa e le clausole anti-stallo che possono essere inserite nello statuto societario.