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Determinazione del Patrimonio Netto nella DSU per Ditta Individuale in Contabilità Ordinaria

25 Febbraio, 2025

Un titolare di un’impresa individuale familiare con un collaboratore, in contabilità ordinaria, ha un capitale netto di 37.000 euro e un risultato d’esercizio al 31/12/2023 di 64.000 euro. Chiede quale importo deve essere indicato nella sezione “Patrimonio Netto” del quadro FC2 della Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU), se sia corretto sommare capitale e utile per un totale di 101.000 euro o se occorra suddividere l’importo tra titolare e collaboratore.

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Il trattamento del patrimonio netto nelle imprese familiari richiede un’analisi articolata, considerando sia la normativa civilistica che gli adempimenti fiscali. Partendo dalla definizione tecnica, il patrimonio netto rappresenta la differenza tra attività e passività dell’impresa, riflettendo il valore residuale attribuibile al titolare. Nel contesto delle imprese individuali, esso include non solo il capitale iniziale ma anche gli utili accumulati e non distribuiti, nonché i conferimenti successivi. Tuttavia, l’introduzione di un collaboratore familiare – figura regolata dall’art. 230-bis del codice civile – modifica questo quadro, generando implicazioni sulla ripartizione dei diritti economici.

Per rispondere al quesito, è necessario distinguere tra due piani: quello civilistico-contabile e quello fiscale. Sul primo versante, il patrimonio netto dell’impresa individuale rimane giuridicamente nella titolarità esclusiva dell’imprenditore, anche in presenza di collaboratori familiari. Ciò significa che, ai fini della redazione del bilancio, l’importo da indicare come patrimonio netto corrisponde alla somma algebrica di tutte le componenti attive e passive, inclusi gli utili non distribuiti. Nel caso specifico, pertanto, l’importo complessivo da riportare sarebbe effettivamente di 101.000 euro (37.000 euro di patrimonio netto iniziale + 64.000 euro di utile d’esercizio). La giustificazione risiede nel fatto che l’utile, se non prelevato, si incorpora automaticamente nel patrimonio aziendale, incrementandone la consistenza.

Tuttavia, l’impresa familiare introduce un elemento di complessità legato ai diritti del collaboratore. Ai sensi dell’art. 230-bis c.c., il collaboratore partecipa agli utili nella misura determinata dall’accordo familiare, potendo ottenere fino al 49% del reddito generato4. Questo diritto si traduce in un’obbligazione dell’imprenditore a corrispondere la quota pattuita, ma non modifica la titolarità del patrimonio netto, che resta in capo al titolare. Di conseguenza, nella sezione dedicata al patrimonio netto del bilancio civile, non è prevista alcuna suddivisione tra titolare e collaboratore, poiché quest’ultimo non acquisisce diritti proprietari sulle attività aziendali.

Il discorso assume profili differenti in ambito fiscale, particolarmente in relazione alla compilazione della dichiarazione dei redditi e alle agevolazioni come l’Aiuto alla Crescita Economica (ACE). L’art. 5 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR) stabilisce che il reddito dell’impresa familiare può essere ripartito tra titolare e collaboratori, con quest’ultimi che possono imputarsi fino al 49% del reddito complessivo. Tale ripartizione, però, riguarda esclusivamente il reddito e non il patrimonio, il quale – come precisato dalle FAQ ministeriali – rimane integralmente attribuito al titolare. Pertanto, nella compilazione del quadro relativo al patrimonio netto in sede di dichiarazione fiscale (ad esempio, nel rigo RS 37 del Modello Unico PF), l’importo da inserire corrisponde al valore complessivo (101.000 euro), senza operare distinzioni tra le quote del titolare e del collaboratore.

Un’eccezione a questo principio potrebbe configurarsi solo in casi specifici, come la cessazione del rapporto di collaborazione o la vendita dell’azienda. In tali circostanze, il collaboratore ha diritto a richiedere la liquidazione della quota di incremento patrimoniale maturata durante il periodo di attività, calcolata come differenza tra il patrimonio netto finale e quello esistente al momento dell’ingresso nel rapporto. Questa eventualità, però, non incide sulla compilazione del bilancio o della dichiarazione dei redditi ordinaria, poiché rappresenta un evento straordinario e successivo alla chiusura dell’esercizio.

Un ulteriore aspetto da considerare è l’applicazione dell’ACE, il cui beneficio fiscale è proporzionale al rendimento del nuovo capitale proprio. In questo contesto, la disciplina fiscale richiede di considerare esclusivamente la quota di patrimonio netto riconducibile al titolare, escludendo le eventuali porzioni imputabili a terzi3. Tuttavia, poiché nell’impresa familiare il patrimonio rimane interamente in capo all’imprenditore, l’intero importo di 101.000 euro sarebbe utilizzabile per il calcolo della deduzione, salvo diverse indicazioni normative. La presenza del collaboratore incide sulla ripartizione del reddito ma non sulla composizione del patrimonio netto, che resta un elemento unico e indiviso.

In sintesi, la corretta compilazione del quadro richiede di:

  • Sommare patrimonio netto iniziale e utile d’esercizio (37.000 + 64.000 = 101.000 euro), poiché l’utile non distribuito si consolida nel patrimonio;
  • Non procedere a ripartizioni tra titolare e collaboratore nella sezione dedicata al patrimonio netto, in quanto quest’ultimo non acquisisce diritti proprietari;
  • Rispettare la distinzione tra reddito e patrimonio, limitando la suddivisione al solo riparto degli utili secondo le percentuali pattuite.

Questa interpretazione trova conferma sia nella prassi civilistica – che non prevede scissioni del patrimonio netto nelle imprese individuali – sia negli orientamenti fiscali, come evidenziato dalla documentazione ministeriale e dalle risposte a quesiti specifici. Eventuali controversie potrebbero sorgere qualora il collaboratore rivendicasse diritti sul patrimonio accumulato, ma tali scenari esulano dalla normale compilazione dei documenti contabili e fiscali, richiedendo invece un’analisi giudiziale caso per caso.

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