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Fattura con IVA errata: come evitare aggravi d’imposta alla luce della riforma tributaria

28 Settembre, 2024

La recente riforma delle sanzioni tributarie, introdotta dal D.Lgs. n. 87/2024, ha portato significative novità in materia di fatturazione con aliquota IVA errata. In particolare, sono state riviste le conseguenze per il cessionario/committente che riceve una fattura con IVA superiore a quella dovuta o applicata su operazioni esenti, non imponibili o non soggette. Queste modifiche, in vigore dal 1° settembre 2024, mirano a bilanciare la necessità di contrastare comportamenti illeciti con l’esigenza di non penalizzare eccessivamente errori in buona fede. Vediamo nel dettaglio cosa cambia e come evitare possibili aggravi d’imposta in queste situazioni.

Il nuovo quadro normativo

La modifica principale riguarda l’art. 6, comma 6 del D.Lgs. 471/1997, che disciplina le sanzioni per chi detrae indebitamente l’IVA. La nuova formulazione prevede una riduzione della sanzione dal 90% al 70% dell’imposta indebitamente detratta, estendendo al contempo l’applicazione della sanzione fissa (da 250 a 10.000 euro) anche ai casi di IVA applicata su operazioni esenti, non imponibili o non soggette.

Un aspetto cruciale della riforma è la limitazione del diritto alla detrazione alla sola imposta effettivamente dovuta. Ciò significa che il cessionario/committente potrà detrarre esclusivamente l’IVA corrispondente alla corretta aliquota o natura dell’operazione, non quella (maggiore) indicata erroneamente in fattura. Questa disposizione recepisce gli orientamenti della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia Europea, che hanno più volte ribadito il principio secondo cui il diritto alla detrazione è limitato all’imposta oggettivamente dovuta.

Rischi e conseguenze per il cessionario/committente

Alla luce delle nuove disposizioni, chi riceve una fattura con IVA superiore si trova esposto a diversi rischi. In primo luogo, c’è la concreta possibilità di perdere il diritto a detrarre la maggiore imposta versata. Inoltre, il cessionario/committente potrebbe dover versare sanzioni e interessi sulla detrazione indebita.

Un ulteriore aspetto critico riguarda la procedura per ottenere il rimborso della maggiore IVA versata. In questi casi, infatti, il cessionario/committente dovrebbe attivare una complessa procedura di rimborso tramite il cedente, il quale a sua volta dovrà richiedere il rimborso all’Agenzia delle Entrate. Questo iter può rivelarsi lungo e farraginoso, comportando un significativo aggravio economico e gestionale, soprattutto per operazioni di importo rilevante.

Strategie per regolarizzare la posizione ed evitare sanzioni

Per evitare le conseguenze negative descritte, è fondamentale intervenire tempestivamente. La soluzione più vantaggiosa consiste nell’emissione di una nota di credito entro un anno dall’operazione. In questo scenario, il cedente può recuperare l’imposta versata in eccesso, mentre il cessionario rettifica la detrazione. In tal caso si applica solo la sanzione fissa da 250 a 10.000 euro, senza recupero d’imposta.

Qualora sia trascorso più di un anno, il cessionario può regolarizzare autonomamente la posizione tramite ravvedimento operoso. Questa opzione prevede il versamento della differenza di imposta indebitamente detratta, degli interessi e di una sanzione ridotta. Anche in questo caso è opportuno coinvolgere il cedente per gestire il rimborso della maggiore IVA.

Una terza possibilità si presenta quando la nota di credito viene emessa nell’anno successivo ma entro il termine annuale. In questa circostanza, è possibile rettificare la detrazione direttamente in dichiarazione IVA, applicando solo la sanzione fissa senza recupero d’imposta.

Esempi pratici

Per comprendere meglio l’impatto pratico di queste disposizioni, consideriamo un’operazione da 10.000 euro con IVA erroneamente applicata al 22% anziché al 10%. Nel caso in cui non si proceda ad alcuna regolarizzazione, il cessionario/committente si troverebbe a dover versare una sanzione di 840 euro (70% di 1.200) e a subire il recupero di 1.200 euro di IVA più interessi.

Se invece si emette una nota di credito entro l’anno, si applicherà solo la sanzione fissa compresa tra 250 e 10.000 euro, senza alcun recupero d’imposta. Nel caso di ravvedimento operoso dopo un anno, il cessionario dovrà versare la differenza di IVA di 1.200 euro, gli interessi e una sanzione ridotta.

Un caso particolare si verifica quando la nota di credito viene emessa entro un anno ma nel periodo d’imposta successivo. In questa situazione, la dichiarazione IVA dell’anno precedente risulterà formalmente infedele, ma è discutibile che l’Ufficio possa applicare la sanzione per dichiarazione infedele, considerando che le istruzioni per la compilazione del modello prevedono espressamente la possibilità di indicare variazioni dell’imposta relative ad anni precedenti.

Conclusioni e raccomandazioni

La nuova disciplina impone una maggiore attenzione nella gestione dell’IVA, sia per chi emette che per chi riceve le fatture. Per evitare conseguenze negative è fondamentale adottare un approccio proattivo, che preveda:

  • Una verifica attenta dell’aliquota IVA applicata su ogni fattura ricevuta.
  • In caso di errori, un intervento tempestivo con l’emissione di una nota di credito, possibilmente entro l’anno.
  • La valutazione del ravvedimento operoso se non è più possibile emettere note di variazione.
  • Il coinvolgimento costante del fornitore per gestire correttamente gli aspetti IVA e le eventuali procedure di rimborso.

Solo attraverso una gestione accurata e tempestiva di queste situazioni sarà possibile evitare costosi contenziosi e preservare il diritto alla detrazione dell’imposta, garantendo al contempo la correttezza fiscale delle operazioni effettuate.

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