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Il socio di minoranza come lavoratore dipendente in una S.r.l.: normativa e implicazioni

19 Giugno, 2024

Le società a responsabilità limitata (S.r.l.) rappresentano una delle forme societarie più diffuse in Italia, grazie alla loro flessibilità e alla responsabilità limitata dei soci. In questo tipo di società, può verificarsi la situazione in cui un socio di minoranza rivesta anche il ruolo di lavoratore dipendente. Questa situazione è ammessa dalla normativa vigente, ma è soggetta a specifiche condizioni da rispettare per garantire la legittimità della doppia posizione e l’equità fiscale e contributiva. In questo articolo approfondito, esamineremo nel dettaglio tutti gli aspetti legali, fiscali e previdenziali relativi a questa particolare situazione, fornendo linee guida chiare e complete per gestirla correttamente.

La distinzione tra socio d’opera e lavoratore dipendente

Prima di addentrarci nel tema principale, è fondamentale distinguere tra il concetto di “socio d’opera” e quello di “lavoratore dipendente”. Un socio d’opera è un socio che svolge la propria prestazione all’interno del contratto sociale, e non in virtù di un contratto di lavoro subordinato. In questo caso, il socio d’opera non è considerato un lavoratore dipendente, non è soggetto al potere direttivo dell’organo sociale, e il suo compenso non è assimilabile a una retribuzione. L’oggetto del conferimento è infatti l’opera o la prestazione di servizio del socio stesso.

Esempio pratico: Mario è socio di una S.r.l. che opera nel settore dell’edilizia. Come socio d’opera, Mario si occupa della supervisione dei cantieri e della gestione dei rapporti con i fornitori, ma non ha un contratto di lavoro subordinato con la società.

I requisiti per essere lavoratore dipendente e socio di minoranza

Affinché un socio di minoranza di una S.r.l. possa essere assunto come lavoratore dipendente della stessa società, devono essere soddisfatte alcune condizioni specifiche:

  1. Quota di partecipazione minoritaria: Il socio deve detenere una quota di partecipazione minoritaria, che non gli consenta di esercitare un controllo dominante sulla società. Generalmente, si considera critica una quota superiore al 50% delle quote societarie. Tuttavia, anche una quota inferiore potrebbe essere considerata dominante se consente al socio di esercitare un’influenza determinante sulle decisioni aziendali.

Esempio pratico: Marco detiene il 30% delle quote di una S.r.l. operante nel settore dell’informatica. Poiché la sua quota è minoritaria, non esercita un controllo dominante sulla società.

  1. Prestazione lavorativa diversa: La prestazione lavorativa del socio deve essere diversa da quella che svolge in qualità di socio.

Esempio pratico: Oltre a partecipare agli utili della società in qualità di socio, Marco è stato assunto come programmatore, svolgendo mansioni distinte dal suo ruolo di socio.

  1. Sottopposizione alle direttive della società: La prestazione lavorativa del socio deve essere svolta sotto le effettive direttive della società, del socio o dei soci che ne hanno l’amministrazione e la direzione.
  2. Retribuzione distinta: La retribuzione del socio lavoratore deve essere aggiuntiva rispetto alla normale quota di partecipazione agli utili della società e distinta da essa. È consigliabile documentare adeguatamente gli adempimenti fiscali differenziati per la retribuzione da lavoro dipendente e gli utili da partecipazione societaria.
  3. Contratto di lavoro subordinato: Il rapporto di lavoro deve essere formalizzato con un contratto di lavoro subordinato che rispetti tutte le norme applicabili ai lavoratori dipendenti, inclusi salario, orari di lavoro, diritti e doveri. Questo contratto deve mantenere una chiara distinzione tra il ruolo del socio come partecipante alla vita societaria e il ruolo di lavoratore dipendente, con compiti, responsabilità e retribuzione definiti in modo trasparente e inequivocabile.

Implicazioni contributive e previdenziali

Il socio di una S.r.l. che sia anche lavoratore dipendente della medesima società è soggetto all’iscrizione alla gestione INPS dei lavoratori dipendenti. Ciò comporta l’applicazione degli obblighi contributivi previsti per la generalità dei lavoratori subordinati, inclusi il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Allo stesso tempo, il socio lavoratore beneficia dei diritti e delle indennità a questi riconosciuti, come:

  • Indennità di malattia
  • Indennità di disoccupazione
  • Indennità di maternità
  • Congedo parentale
  • Assegni familiari (se ne ricorrono i requisiti)

Inoltre, il socio lavoratore dipendente matura il diritto al Trattamento di Fine Rapporto (TFR) in base alle norme vigenti.

Licenziamento e trattamento di fine rapporto

Nel caso in cui il socio lavoratore dipendente venga licenziato, si applicano le medesime norme previste per la generalità dei lavoratori dipendenti, inclusi gli obblighi di preavviso e le tutele in caso di licenziamento illegittimo.

Esempio pratico: La S.r.l. di cui Marco è socio al 30% e lavoratore dipendente decide di licenziarlo per giustificato motivo oggettivo. Marco ha diritto al preavviso e, se il licenziamento viene ritenuto illegittimo, può impugnarlo e richiedere la reintegrazione o un’indennità sostitutiva.

Inoltre, il licenziamento, anche per giusta causa, dà origine al diritto all’indennità di disoccupazione NASpI, laddove ne ricorrano i requisiti e secondo le previsioni di legge.

Terminato il rapporto di lavoro subordinato con la S.r.l., il socio lavoratore ha diritto a ricevere il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) maturato, tenendo conto che, in caso di S.r.l. in liquidazione e con perdite, non è prevista la possibilità di compensare le perdite con il TFR del socio, in quanto si distingue tra la figura di socio e dipendente.

Conseguenze del disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato

L’eventuale disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato del socio da parte degli organi ispettivi comporta conseguenze rilevanti sia per la società che per il socio stesso. Tra le possibili casistiche, si possono verificare situazioni come:

  • Richiesta di contributi da parte dell’INPS: L’INPS può richiedere alla società il pagamento dei contributi dovuti, sul presupposto che il socio sarebbe un lavoratore subordinato e la società avrebbe evaso gli obblighi contributivi.
  • Contenzioso del socio contro l’INPS: Il socio lavoratore può convenire in giudizio l’INPS laddove questo abbia ritenuto insussistente il requisito della subordinazione, annullando la contribuzione versata e, di conseguenza, il pagamento della pensione.
  • Richiesta di riconoscimento del rapporto di lavoro: Il socio, pretendendo la qualifica di lavoratore subordinato, può agire in giudizio contro la società per il riconoscimento della compatibilità tra le due funzioni al fine di ottenere, come dipendente, una stabilità di lavoro e un trattamento economico più favorevole, anche sotto il profilo previdenziale e di TFR.
  • Riqualificazione del rapporto come lavoro autonomo: La società può agire per riqualificare il rapporto come di lavoro autonomo, sostenendo l’assenza del vincolo di subordinazione e del potere direttivo nei confronti del socio lavoratore.
  • Indeducibilità dei costi per l’Agenzia delle Entrate: L’Agenzia delle Entrate può ritenere indeducibili i costi sostenuti dalla società per la prestazione di lavoro del socio, assumendo l’incompatibilità tra la funzione di lavoratore subordinato e quella di socio, sulla base del disconoscimento operato dall’INPS.

In generale, il disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato comporta l’annullamento della relativa posizione contributiva dell’interessato, con la restituzione dei contributi versati oltre agli interessi maturati al netto degli eventuali assegni familiari percepiti. Allo stesso modo, saranno annullati d’ufficio, con recupero delle rate già erogate, eventuali trattamenti pensionistici in corso di erogazione al socio lavoratore.

Esempi pratici di disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato

  • Caso 1: Mario è socio al 40% di una S.r.l. operante nel settore della ristorazione. Oltre ad essere socio, Mario svolge anche la mansione di cuoco della società con un regolare contratto di lavoro subordinato. Durante un’ispezione, l’INPS rileva che Mario, in qualità di socio di maggioranza, esercita un controllo dominante sulla società e pertanto non può essere considerato un vero lavoratore subordinato. L’INPS disconosce il rapporto di lavoro subordinato e richiede alla società il pagamento dei contributi evasi.
  • Caso 2: Giulia è socia al 20% di una S.r.l. che si occupa di consulenza aziendale. Oltre a percepire gli utili da socia, Giulia svolge anche attività di consulenza per la società con un contratto di lavoro subordinato. L’Agenzia delle Entrate, durante un accertamento fiscale, ritiene che le mansioni di consulenza svolte da Giulia siano incompatibili con il suo ruolo di socia e disconosce il rapporto di lavoro subordinato. Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate considera indeducibili i costi sostenuti dalla società per la retribuzione di Giulia come lavoratrice dipendente.

Conclusioni

La possibilità per un socio di minoranza di una S.r.l. di essere anche lavoratore dipendente della stessa società è ammessa dalla normativa vigente, ma richiede il rispetto di precise condizioni per preservare la legittimità della doppia posizione e garantire l’equità fiscale e contributiva. È fondamentale formalizzare correttamente il rapporto di lavoro subordinato, documentare adeguatamente gli adempimenti fiscali differenziati e mantenere una chiara distinzione tra il ruolo di socio e quello di lavoratore dipendente, sia in termini di mansioni che di retribuzione.

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