info@studiopizzano.it

Incompatibilità professionale commercialisti società di capitali:

5 Marzo, 2025

Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili ha recentemente fornito importanti chiarimenti sul delicato tema dell’incompatibilità professionale per i commercialisti che rivestono contemporaneamente il ruolo di soci e amministratori di società a responsabilità limitata. Con il “Pronto Ordini” n. 100/2025 del 25 febbraio, l’organo nazionale ha delineato i confini entro cui si configura una situazione di potenziale conflitto con l’esercizio della professione. La questione centrale riguarda la possibilità per un commercialista di mantenere l’iscrizione all’Albo quando detiene una partecipazione maggioritaria e contemporaneamente esercita poteri gestionali all’interno di una S.r.l. Il principio cardine che emerge è quello della prevalenza della sostanza sulla forma, con un’analisi che va oltre il mero dato formale per considerare l’effettivo esercizio di poteri decisionali e l’interesse economico prevalente.

Il caso esaminato: socio di maggioranza e presidente del CdA

La questione sottoposta al vaglio del Consiglio Nazionale riguarda specificamente una professionista iscritta all’Albo che riveste contemporaneamente due qualifiche all’interno di una società a responsabilità limitata: socia con una partecipazione pari al 90% del capitale e presidente del Consiglio di amministrazione. La peculiarità del caso risiede nella modalità di esercizio della carica presidenziale, che avviene in forma congiunta con gli altri membri del CdA (composto dai due soci della S.r.l. e da un terzo soggetto non socio). Al Consiglio sono attribuiti, sempre in forma congiunta, ampi poteri gestionali, con le sole limitazioni previste dalla legge o dallo statuto in favore dell’assemblea dei soci.

Il quadro normativo di riferimento

La disciplina delle incompatibilità trova il suo fondamento nell’articolo 4, comma 1, lettera c) del D.lgs. n. 139/2005, che stabilisce un principio chiaro: l’esercizio della professione di dottore commercialista ed esperto contabile è incompatibile con l’esercizio dell’attività d’impresa, anche quando questa non sia prevalente né abituale. Il divieto si estende alla produzione di beni o servizi, sia in nome proprio che altrui, e all’intermediazione nella circolazione di beni o servizi.

L’interpretazione di questa norma ha richiesto ulteriori precisazioni, contenute nelle Note interpretative sulla disciplina delle incompatibilità. Queste evidenziano come lo status di socio di società di capitali, di per sé, non collimi con l’esercizio dell’attività d’impresa e risulti quindi compatibile con l’esercizio della professione. Questa compatibilità persiste anche quando la partecipazione è rilevante, maggioritaria o perfino totalitaria, a condizione che il professionista mantenga una posizione di terzietà rispetto alla conduzione operativa della società.

La linea di confine: tra partecipazione e gestione attiva

Il punto critico emerge quando il professionista assume un doppio ruolo: socio e amministratore. In questa configurazione, la valutazione dell’incompatibilità si basa su due elementi fondamentali che devono coesistere:

  1. La presenza di un interesse economico prevalente nella società,
  2. L’esercizio contestuale di ampi poteri gestionali.

Nel caso specifico analizzato, il primo requisito appare indubbiamente soddisfatto, considerando che la professionista detiene una partecipazione pari al 90% del capitale sociale, configurando un controllo di diritto ai sensi dell’articolo 2359 del Codice Civile.

Per quanto riguarda il secondo requisito, la situazione richiede un’analisi più approfondita. Le Note interpretative chiariscono che la carica di amministratore con deleghe, presidente o amministratore unico risulta compatibile solo quando la partecipazione è “irrilevante”, sia in relazione ai diritti amministrativi che ne derivano nelle dinamiche societarie, sia in riferimento al patrimonio personale dell’iscritto.

Il criterio dell’irrilevanza: un’analisi sostanziale

La valutazione dell’irrilevanza non può limitarsi al dato formale, ma deve essere concretamente apprezzabile e priva di evidenze contrastanti. È fondamentale privilegiare la prevalenza della sostanza sulla forma, esaminando l’effettiva capacità decisionale del professionista all’interno della società.

Un elemento che potrebbe escludere l’incompatibilità nel caso esaminato riguarda la circostanza che, pur essendo presidente del CdA, la professionista esercita i poteri gestionali in forma congiunta con gli altri amministratori. Questo aspetto potrebbe indicare l’assenza di un potere decisorio autonomo, elemento che potenzialmente allontanerebbe la configurazione dell’incompatibilità.

L’amministrazione congiunta: fattore determinante?

Per valutare correttamente la situazione, è necessario verificare i concreti assetti societari in riferimento alle modalità di esercizio dell’amministrazione congiunta. In particolare, occorre stabilire se le decisioni vengano assunte all’unanimità o a maggioranza degli amministratori e, in quest’ultimo caso, se il calcolo della maggioranza avvenga per teste o sulla base della partecipazione al capitale.

Questo aspetto è cruciale perché, anche in presenza di un’amministrazione formalmente congiunta, il socio di maggioranza potrebbe comunque esercitare un’influenza determinante nelle decisioni societarie, vanificando l’apparente limitazione del potere decisionale autonomo.

Oltre la forma: indagine sull’influenza effettiva

Il Consiglio Nazionale sottolinea che, in virtù del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, è essenziale verificare se la professionista:

  • Gestisca di fatto la società, in qualità di socia di maggioranza, grazie a clausole statutarie che attribuiscono ai soci le decisioni sulla maggior parte degli atti di gestione;
  • Eserciti un’influenza concreta sul socio di minoranza attraverso specifici rapporti giuridici (come il coniugio o la parentela entro il quarto grado) o mediante l’utilizzo di prestanomi, fiduciari o società nazionali o estere riferibili al professionista o da questi controllate.

Esempio pratico: la sostanza prevale sulla forma

Per comprendere meglio l’applicazione di questi principi, consideriamo il caso di una commercialista che detiene il 95% delle quote di una S.r.l. e ricopre la carica di presidente del CdA, composto anche dal marito (socio al 5%) e da un terzo amministratore indipendente. Formalmente, le decisioni del CdA richiedono la maggioranza dei voti. Tuttavia, l’influenza della professionista sul marito (socio di minoranza) è evidente. In questa situazione, nonostante l’apparente limitazione del potere decisionale individuale, la sostanza rivela un controllo di fatto sulla gestione societaria, configurando un’incompatibilità con l’esercizio della professione.

La valutazione caso per caso: criteri operativi

La complessità della materia richiede una valutazione attenta delle circostanze concrete. Gli Ordini territoriali, nell’esaminare potenziali situazioni di incompatibilità, dovranno considerare:

  • L’effettiva influenza del professionista nelle decisioni societarie, al di là delle cariche formali;
  • La rilevanza della partecipazione in relazione al patrimonio personale dell’iscritto;
  • Le modalità concrete di esercizio dei poteri gestionali;
  • La presenza di rapporti personali o giuridici che possano determinare un’influenza sui soci di minoranza;
  • Le disposizioni statutarie che regolano la ripartizione dei poteri decisionali.

In sintesi

IN SINTESI


Qual è il tema centrale dell’intervento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili? Il Consiglio ha fornito chiarimenti sulla compatibilità tra l’iscrizione all’Albo dei commercialisti e il ruolo di socio e amministratore di una S.r.l., con particolare attenzione ai casi in cui il professionista detiene una partecipazione maggioritaria e poteri gestionali.


Qual è il caso esaminato? Il caso riguarda una commercialista iscritta all’Albo che possiede il 90% del capitale di una S.r.l. e ricopre la carica di presidente del CdA con poteri gestionali esercitati congiuntamente agli altri amministratori.


Qual è il quadro normativo di riferimento? L’articolo 4, comma 1, lettera c) del D.lgs. n. 139/2005 stabilisce l’incompatibilità tra l’esercizio della professione e l’attività d’impresa, anche se non prevalente o abituale. Tuttavia, lo status di socio di società di capitali è considerato compatibile con la professione, purché il commercialista non abbia un ruolo gestionale attivo.


Qual è il confine tra compatibilità e incompatibilità? L’incompatibilità sussiste quando il commercialista ha sia un interesse economico prevalente nella società sia un ruolo attivo nella gestione. Nel caso esaminato, il primo requisito è soddisfatto dalla partecipazione del 90%, mentre il secondo dipende dall’effettivo potere decisionale esercitato.


Come si valuta l’irrilevanza della partecipazione? L’irrilevanza deve essere sostanziale e non solo formale. Se il commercialista, pur ricoprendo una carica amministrativa, non esercita un’influenza dominante nelle decisioni societarie, l’incompatibilità potrebbe essere esclusa.


L’amministrazione congiunta è un fattore determinante? La verifica delle modalità di amministrazione è cruciale. Se le decisioni vengono prese all’unanimità o a maggioranza e se il calcolo della maggioranza avviene per quote o per teste possono incidere sulla valutazione dell’incompatibilità.


Quali sono gli elementi che possono configurare un’incompatibilità? Il controllo effettivo sulla società può derivare da clausole statutarie, rapporti personali con altri soci (es. coniugio o parentela) o utilizzo di prestanomi e società collegate.


Come si applica il principio della prevalenza della sostanza sulla forma? L’analisi non si limita agli assetti formali, ma valuta l’influenza effettiva del commercialista sulla gestione. Se, ad esempio, un professionista possiede il 95% delle quote e il restante 5% è del coniuge, la sostanza dimostra un controllo di fatto, configurando l’incompatibilità.


Quali sono i criteri operativi per valutare caso per caso? Gli Ordini territoriali devono analizzare l’effettiva influenza del commercialista, il peso della partecipazione nel suo patrimonio personale, le modalità di esercizio dei poteri gestionali e l’eventuale influenza su altri soci attraverso rapporti personali o giuridici.

Articoli correlati