La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30140 depositata il 23 novembre 2024, ha affrontato un tema di grande rilevanza giuridica ed economica: la possibilità di revocare la cessione di un’azienda quando questa leda i diritti dei creditori della società cedente. Il caso specifico vedeva coinvolto un Comune, nella veste di creditore, che ha chiesto di dichiarare inefficace la cessione del principale asset della società debitrice. Tale società, in difficoltà economico-finanziarie, aveva infatti trasferito l’azienda, insieme all’unico bene immobile di sua proprietà, per un corrispettivo significativamente inferiore al valore reale. Questo articolo approfondisce il quadro normativo e i principi giuridici alla base della decisione, analizzando anche le implicazioni pratiche per società e creditori.
La tutela dei creditori nella cessione d’azienda: il quadro normativo
Per comprendere il tema, è essenziale fare riferimento all’articolo 2901 del Codice Civile, che disciplina l’azione revocatoria ordinaria. Questo strumento giuridico consente ai creditori di ottenere che un atto compiuto dal debitore, pregiudizievole per le loro ragioni, venga dichiarato inefficace nei loro confronti. Nel caso in questione, la Corte ha ribadito che per ottenere la revocatoria di un atto a titolo oneroso è necessario provare due elementi principali: l’eventus damni, ossia il pregiudizio per il creditore, e il consilium fraudis, ovvero la consapevolezza del debitore (e, nel caso di cessione aziendale, anche del cessionario) del danno arrecato.
L’eventus damni non richiede che il patrimonio del debitore sia completamente compromesso: è sufficiente che l’atto renda più difficile o incerto il soddisfacimento del credito. Questo può derivare, ad esempio, da una modifica qualitativa del patrimonio, come la sostituzione di un immobile con liquidità, che è più facilmente trasferibile e quindi meno adatta a garantire i creditori.
Il caso pratico: cessione d’azienda e pregiudizio per i creditori
Nel caso analizzato, la società debitrice aveva ceduto il suo principale asset a un’altra società, trasferendo anche l’unico immobile di sua proprietà. Ciò è avvenuto in un contesto di crisi finanziaria e per un corrispettivo molto inferiore al valore reale del bene ceduto. In particolare, il prezzo della cessione era stato stimato in circa 2 milioni di euro, a fronte di un valore effettivo pari a quasi il doppio, secondo una perizia disposta in un successivo procedimento penale per bancarotta fraudolenta.
La Corte di Cassazione ha sottolineato che una cessione d’azienda in queste circostanze altera la garanzia patrimoniale a disposizione dei creditori. La sostituzione di beni immobili, difficilmente trasferibili, con denaro liquido o beni non identificabili agevola infatti il debitore nella distrazione delle risorse, ostacolando così le possibilità di soddisfacimento del credito.
La consapevolezza del pregiudizio (consilium fraudis)
Un altro aspetto cruciale della vicenda riguarda il consilium fraudis, ossia la consapevolezza, da parte del cessionario, del pregiudizio arrecato ai creditori. Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto provata questa consapevolezza sulla base di vari elementi emersi durante il giudizio di merito. Tra questi, vi era il fatto che la stessa persona ricopriva il ruolo di amministratore sia nella società cedente che in quella cessionaria, rendendo evidente una comunanza di interessi.
Inoltre, il prezzo di cessione era stato corrisposto solo in minima parte in denaro, mentre per la restante parte era previsto un accollo dei debiti della cedente, un’operazione che di fatto non offriva garanzie concrete per i creditori.
Le contestazioni e la decisione della Corte
Nel presentare ricorso in Cassazione, la società debitrice aveva sostenuto che l’eventuale pregiudizio per i creditori fosse mitigato dall’applicazione dell’articolo 2560, comma 2, del Codice Civile. Tale norma prevede che l’acquirente di un’azienda risponda anche dei debiti dell’alienante antecedenti all’atto dispositvo, purché risultanti dai libri contabili obbligatori. Tuttavia, la Corte ha respinto tale argomentazione, chiarendo che la mera esistenza di tale obbligo non elimina automaticamente il danno per i creditori, specialmente quando il corrispettivo della cessione sia inadeguato rispetto al valore reale del bene trasferito.
Perché è importante questa decisione?
La sentenza della Corte di Cassazione ribadisce alcuni principi fondamentali in materia di revocatoria e tutela dei creditori. È un monito per le imprese e i loro amministratori sulla necessità di agire con trasparenza e nel rispetto delle ragioni creditorie, soprattutto in situazioni di crisi finanziaria. Allo stesso tempo, offre ai creditori uno strumento efficace per contrastare operazioni pregiudizievoli e recuperare quanto loro dovuto.
Questa pronuncia mette inoltre in luce la necessità di valutare, con attenzione, tutti gli elementi di una cessione aziendale, a partire dal valore attribuito al bene fino alle modalità di pagamento del corrispettivo. Gli amministratori delle società devono essere consapevoli che operazioni apparentemente lecite possono essere oggetto di contestazioni qualora non rispettino i criteri di correttezza economica e giuridica.
Conclusioni
La cessione d’azienda può rappresentare una soluzione strategica per affrontare situazioni di difficoltà, ma deve essere sempre condotta nel rispetto dei diritti dei creditori. La sentenza analizzata offre un’importante guida interpretativa e applicativa per professionisti del diritto, amministratori e creditori, chiarendo i limiti entro cui tali operazioni possono essere considerate legittime.