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L’assenza di fini di lucro, il divieto di distribuzione degli utili e la devoluzione del patrimonio per le ASD e SSD: approfondimenti e cenni pratici

30 Marzo, 2024

Le associazioni e le società sportive dilettantistiche (ASD/SSD) rappresentano una componente fondamentale del sistema sportivo italiano, in quanto promuovono la pratica sportiva a livello amatoriale e giovanile, favorendo l’inclusione sociale e il benessere psico-fisico dei cittadini. Tuttavia, per poter svolgere al meglio la loro funzione sociale, le ASD/SSD devono rispettare alcuni principi fondamentali, tra cui l’assenza di scopo di lucro e il divieto di distribuzione degli utili. Questi principi, sanciti dall’art. 8 del D.lgs. n. 36 del 2021, mirano a garantire che le risorse finanziarie e strumentali degli enti sportivi siano destinate esclusivamente al perseguimento degli scopi istituzionali, evitando che possano essere utilizzate per fini personali o speculativi da parte di soci, amministratori o collaboratori. In questo articolo, approfondiremo il significato e le implicazioni di questi pilastri normativi, analizzando anche le conseguenze in caso di scioglimento dell’ente sportivo.

L’assenza di scopo di lucro come elemento caratterizzante delle ASD/SSD

L’assenza di scopo di lucro è un principio cardine del settore sportivo dilettantistico, che distingue le ASD/SSD dalle società sportive professionistiche e dalle imprese commerciali. L’art. 8, comma 1 del D.lgs. n. 36 del 2021 ribadisce questo concetto, stabilendo che le ASD/SSD devono destinare eventuali utili e avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o all’incremento del proprio patrimonio. Ciò significa che gli enti sportivi dilettantistici non possono perseguire finalità lucrative, ossia non possono distribuire gli utili ai propri soci o utilizzarli per scopi diversi da quelli istituzionali. Questo principio ricalca quanto già previsto per le imprese sociali dal D.lgs. n. 112/2017 e mira a salvaguardare la funzione sociale e mutualistica delle ASD/SSD, evitando che possano snaturare la loro missione a favore di interessi particolari.

L’assenza di scopo di lucro non implica, tuttavia, che le ASD/SSD non possano svolgere attività commerciali o generare utili. Al contrario, molti enti sportivi dilettantistici affiancano alla loro attività istituzionale anche iniziative di natura commerciale, come la vendita di abbigliamento sportivo, l’organizzazione di eventi o l’offerta di servizi a pagamento (es. corsi, affitto di campi da gioco, ecc.). Tali attività, tuttavia, devono essere strumentali e accessorie rispetto all’attività sportiva principale e gli eventuali utili generati devono essere reinvestiti nell’ente stesso, al fine di migliorare le strutture, acquistare attrezzature o finanziare progetti sportivi e sociali.

Il divieto di distribuzione degli utili e le sue implicazioni

Strettamente connesso all’assenza di scopo di lucro è il divieto di distribuzione degli utili, sancito dall’art. 8, comma 2 del D.lgs. n. 36/2021. Tale norma vieta espressamente la distribuzione, anche indiretta, di utili, avanzi di gestione, fondi e riserve a soci, associati, lavoratori, collaboratori, amministratori e altri componenti degli organi sociali, anche in caso di recesso o scioglimento individuale del rapporto. Questo divieto mira a evitare che le risorse economiche degli enti sportivi dilettantistici possano essere distolte dalla loro destinazione istituzionale per fini di arricchimento personale o di favoritismo nei confronti di alcuni soggetti.

Il divieto di distribuzione degli utili opera sia in forma diretta che indiretta. La distribuzione diretta si ha quando l’ente eroga somme di denaro o altri benefici economici direttamente ai soggetti sopra menzionati, senza una valida giustificazione legata all’attività istituzionale. La distribuzione indiretta, invece, si realizza attraverso operazioni che, pur non comportando un’erogazione diretta di denaro, determinano comunque un vantaggio economico per alcuni soggetti a danno dell’ente. Il D.lgs. n. 112/2017, richiamato dall’art. 8 del D.lgs. n. 36/2021, tipizza alcune fattispecie di distribuzione indiretta, al fine di facilitarne l’individuazione e la prevenzione.

Le fattispecie di distribuzione indiretta degli utili

L’art. 3, comma 2 del D.lgs. n. 112/2017 elenca una serie di operazioni che, pur non integrando una distribuzione diretta di utili, sono comunque vietate per le ASD/SSD in quanto configurano una forma di distribuzione indiretta. Tali fattispecie sono state individuate sulla base dell’esperienza maturata nel settore non profit e mirano a colpire le pratiche più insidiose e diffuse di aggiramento del divieto di distribuzione.

Tra le fattispecie più rilevanti, vi è innanzitutto la corresponsione ad amministratori e cariche sociali di compensi sproporzionati rispetto all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze. Questa norma mira a evitare che gli organi direttivi delle ASD/SSD possano attribuirsi compensi eccessivi, che di fatto costituiscono una forma di distribuzione degli utili. Per valutare la congruità dei compensi, occorre fare riferimento ai parametri previsti per enti analoghi operanti nel settore sportivo dilettantistico.

Un’altra fattispecie di distribuzione indiretta è rappresentata dalla corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del 40% rispetto ai contratti collettivi, salvo comprovate esigenze legate all’acquisizione di specifiche competenze. Anche in questo caso, la norma mira a evitare che le ASD/SSD possano eludere il divieto di distribuzione attraverso la corresponsione di compensi sproporzionati ai propri collaboratori. Tuttavia, il divieto non è assoluto, in quanto sono ammesse deroghe in presenza di effettive esigenze legate all’attività sportiva, purché adeguatamente motivate e documentate.

Altre fattispecie di distribuzione indiretta riguardano la remunerazione degli strumenti finanziari, l’acquisto di beni o servizi a condizioni più svantaggiose rispetto al mercato e la cessione di beni o prestazioni di servizi a condizioni più favorevoli rispetto al mercato nei confronti di soggetti collegati all’ente. In tutti questi casi, l’obiettivo è quello di evitare che le ASD/SSD possano utilizzare il proprio patrimonio per avvantaggiare alcuni soggetti a discapito dell’ente stesso e della sua missione istituzionale.

Le deroghe al divieto di distribuzione e la loro interpretazione

Nonostante la rigidità del divieto di distribuzione degli utili, in alcuni casi specifici sono ammesse delle deroghe, purché previste dalla legge o dallo statuto dell’ente. Ad esempio, per le società cooperative, la ripartizione ai soci di ristorni correlati ad attività di interesse generale non è considerata distribuzione indiretta, a condizione che avvenga nel rispetto di determinati limiti e condizioni. Questa deroga tiene conto della peculiare natura delle cooperative, che si basano su principi di mutualità e democraticità nella gestione.

Un’altra deroga riguarda la possibilità di superare il limite del 40% sui compensi dei lavoratori previsto dai contratti collettivi, in presenza di comprovate esigenze legate all’acquisizione di specifiche competenze necessarie per lo svolgimento dell’attività sportiva. La ratio di questa norma è quella di consentire alle ASD/SSD di attrarre professionalità qualificate, laddove ciò sia indispensabile per garantire la qualità e la continuità dell’attività sportiva. Tuttavia, la deroga non può essere applicata in modo indiscriminato, ma deve essere supportata da un’adeguata motivazione che dimostri il nesso causale tra le competenze acquisite e l’effettiva esigenza dell’ente.

A tal proposito, il Ministero del lavoro, con la nota n. 2088 del 27 febbraio 2020, ha fornito alcuni chiarimenti interpretativi sulla portata della deroga. In particolare, la nota precisa che il superamento del limite retributivo deve essere giustificato non solo dalla necessità di acquisire competenze specifiche, ma anche dalla loro oggettiva indispensabilità ai fini dello svolgimento dell’attività sportiva. Inoltre, la deroga deve essere supportata da un’adeguata documentazione che attesti l’effettivo possesso delle competenze da parte del lavoratore e la loro coerenza con le esigenze dell’ente.

La devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento

Un altro aspetto fondamentale della disciplina delle ASD/SSD riguarda il destino del patrimonio in caso di scioglimento dell’ente. L’art. 8 del D.lgs. n. 36/2021 stabilisce che, in tale eventualità, il patrimonio deve essere devoluto ai fini sportivi, ossia destinato ad altri enti che perseguono analoghe finalità di promozione e sviluppo dello sport dilettantistico. Questa norma mira a evitare che il patrimonio accumulato dall’ente grazie alle agevolazioni fiscali e alle risorse pubbliche possa essere utilizzato per scopi diversi da quelli istituzionali o addirittura appropriato dai soci o dagli amministratori.

La devoluzione del patrimonio deve avvenire secondo le modalità e i criteri stabiliti dallo statuto dell’ente o, in mancanza, dalla legge. In particolare, se l’ASD/SSD è anche un ente del Terzo settore (ETS) iscritto nel relativo registro, la devoluzione dovrà rispettare sia la normativa sportiva sia quella del Codice del Terzo settore (D.lgs. n. 117/2017). In tal caso, il patrimonio dovrà essere devoluto ad altri ETS che svolgono attività analoghe o a fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo competente.

Qualora l’ente non abbia provveduto a individuare il soggetto beneficiario della devoluzione o non abbia rispettato le procedure previste, il patrimonio sarà acquisito dall’ente pubblico territoriale competente (es. Comune, Regione) e destinato comunque a finalità sportive. In ogni caso, la devoluzione del patrimonio rappresenta un momento delicato nella vita dell’ente, che richiede un’attenta pianificazione e il rispetto delle norme applicabili, al fine di garantire la continuità dell’attività sportiva e il perseguimento degli scopi istituzionali.

Esempi pratici

Di seguito si forniscono alcuni esempi pratici

Esempio #1

Un’associazione sportiva dilettantistica che gestisce un centro polisportivo decide di affidare la gestione del bar interno a una società esterna il cui amministratore è il coniuge del presidente dell’associazione. Per evitare una distribuzione indiretta di utili, il contratto di affidamento dovrà essere stipulato a condizioni di mercato, previa indagine di mercato e comparazione di più offerte. Inoltre, il presidente dovrà astenersi dalle deliberazioni relative all’affidamento, al fine di evitare conflitti di interesse.

Esempio #2

Una società sportiva dilettantistica di pallavolo vuole ingaggiare un allenatore di fama nazionale per la propria squadra femminile, offrendogli un compenso del 50% superiore a quello previsto dal contratto collettivo. Per poter applicare la deroga sul limite retributivo, la società dovrà dimostrare che l’allenatore possiede competenze specifiche e indispensabili per il miglioramento tecnico della squadra, allegando il suo curriculum vitae e i risultati sportivi conseguiti. Inoltre, dovrà motivare adeguatamente il nesso causale tra le competenze dell’allenatore e le esigenze della società, anche in relazione agli obiettivi agonistici perseguiti.

Esempio #3

Un’associazione sportiva dilettantistica di judo, in seguito alla perdita della sede per inagibilità strutturale, decide di sciogliersi e devolvere il proprio patrimonio. Non essendo un ente del Terzo settore e in mancanza di disposizioni statutarie specifiche, l’associazione individua un’altra ASD del territorio che svolge attività analoghe e le destina tutti i beni mobili (tatami, pesi, manichini) e le risorse finanziarie residue. In questo modo, il patrimonio accumulato negli anni grazie alle quote associative e ai contributi pubblici potrà continuare a essere utilizzato per la promozione dello sport dilettantistico.

Conclusioni

Il divieto di distribuzione degli utili e la devoluzione del patrimonio rappresentano due pilastri fondamentali della disciplina delle associazioni e società sportive dilettantistiche, che mirano a garantire il perseguimento degli scopi istituzionali e la funzione sociale di tali enti. Questi principi, infatti, evitano che le risorse economiche e strumentali delle ASD/SSD possano essere distolte dalla loro destinazione originaria per fini di arricchimento personale o di favoritismo, salvaguardando la natura non lucrativa e mutualistica del settore sportivo dilettantistico.

Tuttavia, l’applicazione di questi principi richiede una corretta interpretazione delle norme e una gestione trasparente e oculata delle risorse da parte degli enti sportivi. In particolare, occorre prestare attenzione alle fattispecie di distribuzione indiretta degli utili, che possono assumere forme diverse e insidiose, come la corresponsione di compensi sproporzionati o l’acquisto di beni e servizi a condizioni svantaggiose. Inoltre, in caso di scioglimento, è necessario pianificare per tempo la devoluzione del patrimonio, individuando i soggetti beneficiari e rispettando le procedure previste dalla legge e dallo statuto.


Domande e risposte

D: Le ASD/SSD possono distribuire utili sotto forma di compensi agli amministratori?
R: No, la corresponsione ad amministratori e cariche sociali di compensi sproporzionati rispetto all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze è considerata una forma di distribuzione indiretta degli utili, espressamente vietata dall’art. 3, comma 2 del D.lgs. n. 112/2017, richiamato dall’art. 8 del D.lgs. n. 36/2021. I compensi eventualmente corrisposti devono essere congrui e proporzionati, in linea con quelli previsti per enti analoghi del settore sportivo dilettantistico.

D: Una ASD/SSD può derogare al divieto di distribuzione in caso di particolari esigenze gestionali?
R: In linea generale, no. Il divieto di distribuzione degli utili è un principio cardine della disciplina delle ASD/SSD e può essere derogato solo nei casi espressamente previsti dalla legge o dallo statuto. Ad esempio, è ammessa la deroga sul limite retributivo dei lavoratori in presenza di comprovate esigenze legate all’acquisizione di specifiche competenze necessarie per lo svolgimento dell’attività sportiva. Tuttavia, anche in questo caso, la deroga deve essere adeguatamente motivata e documentata, dimostrando il nesso causale tra le competenze acquisite e le effettive esigenze dell’ente.

D: Cosa succede al patrimonio di una ASD/SSD in caso di scioglimento?
R: In caso di scioglimento, il patrimonio di una ASD/SSD deve essere devoluto ai fini sportivi, ossia destinato ad altri enti che perseguono analoghe finalità di promozione e sviluppo dello sport dilettantistico. Le modalità e i criteri della devoluzione devono essere stabiliti dallo statuto dell’ente o, in mancanza, dalla legge. Se l’ASD/SSD è anche un ente del Terzo settore (ETS), la devoluzione dovrà rispettare sia la normativa sportiva sia quella del Codice del Terzo settore. In ogni caso, il patrimonio non può essere distribuito tra i soci o gli amministratori, ma deve continuare a essere utilizzato per scopi di interesse generale.

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