Il disegno di legge di bilancio 2025 introduce una misura che rischia di bloccare gli investimenti delle società e degli enti che ricevono contributi pubblici, diretti o indiretti, attualmete fissati in almeno 100 mila euro. Questi soggetti, a partire dal 1° gennaio 2025, saranno obbligati a mantenere le loro spese per investimenti al di sotto della media di quanto effettuato negli anni 2021, 2022 e 2023. Una norma che, sebbene sembri mirare a una gestione più oculata delle risorse pubbliche, rischia di soffocare la capacità di crescita e innovazione delle imprese, soprattutto in un periodo in cui la ripresa economica richiede investimenti significativi.
Le previsioni della norma
Il cuore della norma è contenuto nel già tanto discusso articolo 112, comma 4 del disegno di legge di bilancio. Questo articolo stabilisce anche le società e gli enti che riceveranno contributi pubblici non potranno investire più della media degli investimenti effettuati nel triennio precedente (2021-2023). La logica dietro questa disposizione sembra richiamare un principio già previsto nel passato, precisamente nella legge di bilancio per il 2020 (legge n. 160 del 27 dicembre 2019), che aveva introdotto limiti simili per gli enti e gli organismi partecipati dallo Stato.
Tuttavia, la portata della nuova disposizione appare più ampia e restrittiva. Se in passato i limiti erano circoscritti a specifiche categorie di enti, oggi la norma sembra voler colpire indistintamente tutte le società e gli enti che beneficiano di contributi pubblici. In altre parole, chiunque riceva risorse statali sarà soggetto a questa stretta sugli investimenti.
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Le conseguenze pratiche
L’effetto più immediato di questa norma sarà quello di limitare drasticamente la capacità delle imprese di pianificare nuovi investimenti. Molte aziende potrebbero trovarsi nella situazione paradossale di dover rinunciare a progetti strategici o innovativi solo perché superano la media degli investimenti effettuati negli anni precedenti. Questo potrebbe avere un impatto devastante soprattutto su quelle imprese che, negli anni passati, hanno ridotto gli investimenti a causa della crisi economica e ora si trovano nella necessità di recuperare terreno.
Inoltre, la norma non sembra fare distinzioni tra i diversi tipi di investimenti. Che si tratti dell’acquisto di beni strumentali o dell’implementazione di nuove tecnologie, il limite imposto dalla legge si applica indistintamente. Ciò significa che anche le spese necessarie per modernizzare l’azienda o renderla più competitiva sul mercato internazionale potrebbero essere bloccate.
Le ambiguità del testo normativo
Un altro aspetto critico riguarda l’interpretazione della norma stessa. Il testo del disegno di legge fa riferimento al divieto per le società beneficiarie di contributi pubblici “di effettuare spese per l’acquisto di beni e servizi per un importo superiore alla media degli ultimi tre anni“. Tuttavia, non è chiaro se questo limite si applichi solo agli investimenti futuri o anche a quelli già deliberati ma non ancora realizzati.
Questa ambiguità potrebbe portare a situazioni in cui le aziende si trovano improvvisamente impossibilitate a completare progetti già avviati o pianificati prima dell’entrata in vigore della legge. In tal caso, si rischierebbe una vera e propria paralisi degli investimenti, con effetti negativi sull’intera economia.
Le perplessità sulla retroattività
Un ulteriore punto controverso riguarda la possibile retroattività della norma. Sebbene il testo non lo specifichi esplicitamente, alcune interpretazioni potrebbero portare a considerare anche gli investimenti già programmati come soggetti ai nuovi limiti. Questo creerebbe una situazione in cui le aziende che hanno pianificato spese sulla base delle normative precedenti si troverebbero improvvisamente costrette a rivedere i loro piani.
I profili di incostituzionalità
La disposizione contenuta nell’articolo 112 solleva seri dubbi sulla sua legittimità costituzionale, in quanto potrebbe violare diversi principi fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana.
In primo luogo, il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) potrebbe essere compromesso poiché la norma impone un trattamento uniforme a tutte le società che ricevono contributi pubblici, senza tenere conto delle specifiche esigenze o situazioni individuali. Questo trattamento generalizzato rischia di penalizzare ingiustamente alcune imprese rispetto ad altre.
In secondo luogo, la norma potrebbe violare il principio della libertà d’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), in quanto limita significativamente la capacità delle imprese di pianificare e realizzare nuovi investimenti. La libertà d’impresa è garantita dalla Costituzione, purché non sia in contrasto con l’utilità sociale o non rechi danno alla sicurezza e alla dignità umana. Tuttavia, in questo caso, il limite agli investimenti sembra essere imposto senza una giustificazione adeguata legata all’interesse pubblico.
Infine, vi è il rischio che la norma venga applicata retroattivamente agli investimenti già deliberati ma non ancora realizzati prima dell’entrata in vigore della legge. Questo potrebbe violare il principio di irretroattività delle leggi, consolidato nella giurisprudenza costituzionale italiana.
Considerazioni finali
In conclusione, la disposizione contenuta nell’articolo 112 del disegno di legge di bilancio rischia di creare più problemi che benefici. Se da un lato l’intenzione del legislatore potrebbe essere quella di evitare sprechi e garantire un uso responsabile dei fondi pubblici, dall’altro lato il rischio è quello di frenare lo sviluppo delle imprese proprio nel momento in cui sarebbe necessario incentivarlo. Limitare gli investimenti al livello medio degli anni passati significa ignorare le esigenze attuali delle aziende e le sfide future che dovranno affrontare.