La recente riforma del regime fiscale applicabile alle perdite trasferite all’interno dei gruppi societari in seguito a operazioni di fusione sta delineando un nuovo scenario, più flessibile ma al tempo stesso complesso. In sostanza, si introducono criteri innovativi per valutare la “vitalità” delle società coinvolte e per definire i limiti quantitativi legati all’impiego del patrimonio netto, ampliando la possibilità di compensare liberamente le cosiddette perdite “infragruppo” prodotte nei periodi di imposta precedenti. L’obiettivo è superare i precedenti vincoli, garantendo una maggiore continuità economica e una maggiore tutela della posizione fiscale all’interno dei grandi gruppi, pur mantenendo un sistema di controlli destinato a evitare operazioni meramente elusive.
Un nuovo orizzonte normativo
L’evoluzione normativa attinge alla recente delega fiscale e alle linee guida del legislatore, con particolare rilievo per l’art. 172 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), come interpretato e attuato secondo le indicazioni contenute nella legge n. 111/2023. Il nucleo del cambiamento ruota attorno al concetto di compensazione tra le diverse società che fanno parte di un medesimo gruppo, superando vincoli precedenti.
La riforma, così concepita, rende possibile la libera compensazione delle perdite infragruppo senza più ancorarla rigidamente a parametri di vitalità o di ammontare del patrimonio netto, purché si rispettino le condizioni dettate dal legislatore per impedire un uso distorto di questo strumento.
La delicata questione del patrimonio netto e della sua valutazione
Uno dei punti centrali della nuova disciplina risiede nella ridefinizione del patrimonio netto quale elemento quantitativo di riferimento. In passato il patrimonio netto determinava i limiti del riporto delle perdite nelle fusioni, imponendo una lettura stringente che non teneva sufficiente conto della dinamicità dei rapporti economici esistenti all’interno di un gruppo. Con la nuova impostazione, il patrimonio netto esprime una funzione più flessibile e aderente alla realtà, poiché la sua quantificazione potrà basarsi su apposite perizie di stima curate da esperti designati.
Questo permette di superare la rigida cristallizzazione legata all’ultima situazione contabile, favorendo una valutazione coerente con l’effettivo apporto di capitale e con i versamenti effettuati nei due anni precedenti all’operazione. In altre parole, se una società ha fornito in un dato periodo capitale fresco o ha effettuato contributi significativi prima della fusione, tali innesti potranno incidere più direttamente sulla misura in cui le sue perdite potranno essere riportate.
La continuità dell’attività e la “vitalità” delle società interessate
La precedente disciplina si fondava su una serie di test per stabilire la cosiddetta “vitalità” della società e dunque la possibilità di riportare le perdite. Tale vitalità era valutata attraverso parametri come i ricavi generati dall’attività tipica e l’entità delle spese per il personale negli esercizi precedenti. Con l’introduzione delle nuove regole, sebbene la vitalità rimanga un tassello della normativa, essa si armonizza con una visione più ampia e meno meccanica. Ciò comporta che, purché si possa dimostrare un effettivo esercizio di impresa o una concreta operatività, le perdite intragruppo potranno godere di un regime di riporto più elastico.
Questo aspetto diviene cruciale soprattutto quando si tratta di società che entrano nel gruppo, ne escono, si fondono o si scindono, poiché il legislatore considera la nuova situazione come un punto di partenza per assegnare una sorta di “anzianità” alle perdite. In pratica, le perdite vengono considerate come se fossero maturate nel momento in cui la società entra nel gruppo o ne subisce una riorganizzazione, rendendo così più semplice comprendere quale sia la loro effettiva età e la conseguente applicabilità dei nuovi limiti.
Le perdite “miste” e l’uso prioritario delle perdite più recenti
Una delle novità degne di nota riguarda il trattamento delle perdite definite “miste”, ossia quelle in cui si sovrappongono perdite generate prima dell’ingresso nel gruppo e perdite prodotte successivamente. Il nuovo regime tende a impiegare in via prioritaria le perdite più recenti, spesso considerate “omologate” o perfettamente integrabili nella nuova realtà societaria. Solo una volta esaurite queste, si passa alle perdite più datate, che assumono una sorta di ruolo subordinato.
Immaginando un esempio, se la Società Alfa è entrata nel Gruppo Beta nel 2022 e prima di farlo aveva accumulato perdite di anni precedenti, grazie al nuovo regime si potranno compensare prima le perdite maturate dopo il 2022 e, solo in caso di necessità, attingere a quelle ereditate dal passato.
Questo meccanismo assicura un’applicazione più coerente e ordinata della compensazione, evitando di consumare subito perdite storiche che potrebbero non riflettere più la situazione effettiva del gruppo.
Gli effetti sul piano temporale e il regime transitorio
I nuovi orientamenti, che si concretizzano con una precisa indicazione da parte del legislatore per l’emanazione di uno specifico decreto attuativo, si applicheranno alle operazioni effettuate dal periodo di imposta successivo all’entrata in vigore della norma, presumibilmente dal 2024. Per le perdite che sono già state conseguite prima dell’entrata in vigore della riforma, sarà previsto un periodo transitorio, al fine di non creare ingiustificate disparità. Questo consentirà alle imprese di adeguare i propri sistemi contabili e di valutazione, preparandosi progressivamente al nuovo scenario senza traumi.
L’obiettivo è rendere la disciplina del riporto delle perdite più in linea con l’evoluzione del tessuto economico e societario, promuovendo maggiore flessibilità, evitando l’irrigidimento legato a criteri meramente formali e valorizzando gli investimenti freschi di capitale.
Conclusioni
La riforma introduce un approccio più aperto e sofisticato al tema del riporto delle perdite nelle fusioni all’interno dei gruppi. Pur richiedendo maggiori verifiche, essa mira a riflettere con più fedeltà la vitalità, la continuità dell’attività e l’effettiva dinamica dei conferimenti di capitale, superando vecchie rigidità e allineando il regime fiscale alle esigenze reali delle imprese. Grazie alla possibilità di libera compensazione delle perdite infragruppo, alla ridefinizione della loro anzianità in seguito ad acquisizioni o riorganizzazioni e a una più elastica determinazione del patrimonio netto di riferimento, le imprese italiane potranno operare con regole più coerenti alle sfide dei mercati moderni.