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Omessa comunicazione al RAS del rapporto di lavoro sportivo: cosa fare

17 Aprile, 2025

La normativa sportiva prevede l’obbligo per le associazioni sportive dilettantistiche di comunicare al Registro delle Attività Sportive dilettantistiche (RAS) i dati relativi ai rapporti di lavoro con i propri collaboratori. Tale adempimento sostituisce le comunicazioni obbligatorie al Centro per l’Impiego, ma cosa succede quando un’a.s.d. non provvede a tale comunicazione nei termini previsti? L’omissione comporta sanzioni e gli enti sportivi possono rimediare all’inadempimento in modo tardivo? La recente normativa sulla semplificazione amministrativa offre alcune tutele in caso di prima violazione.

Gli obblighi comunicativi al RAS secondo il D.lgs. 36/2021

Il Decreto Legislativo 36/2021 ha introdotto una serie di semplificazioni per gli enti sportivi che operano come committenti nei confronti dei collaboratori sportivi. Gli articoli 28, commi 3 e 4, e 35, comma 8-quinquies, prevedono specificamente la possibilità di utilizzare il Registro delle Attività Sportive dilettantistiche come strumento per la comunicazione dei dati necessari all’individuazione del rapporto di lavoro sportivo.

Questa semplificazione rappresenta un vantaggio significativo per le a.s.d., poiché la comunicazione al RAS equivale a tutti gli effetti alle comunicazioni obbligatorie al Centro per l’Impiego previste dall’articolo 9-bis, commi 2 e 2-bis, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni dalla legge 28 novembre 1996, n. 608.

Conseguenze della mancata o tardiva comunicazione

L’omissione o il ritardo nella comunicazione al RAS dei dati relativi ai rapporti di lavoro sportivo non resta privo di conseguenze. La normativa prevede l’irrogazione di una sanzione amministrativa che varia da 100 a 500 euro per ciascun lavoratore interessato, come stabilito dall’articolo 19, comma 3, del D.lgs. n. 276/2003.

Un aspetto rilevante riguarda le modalità di accertamento della violazione: la sanzione può essere irrogata esclusivamente a seguito di accesso ispettivo da parte dei competenti uffici dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL). Questo significa che non è prevista l’irrogazione automatica della sanzione da parte degli addetti del Centro Per l’Impiego.

L’assenza del ravvedimento operoso e l’istituto della diffida

A differenza di quanto avviene in ambito fiscale, per questo tipo di violazione non è previsto l’istituto del ravvedimento operoso, che consentirebbe di regolarizzare autonomamente la propria posizione con il pagamento di una sanzione ridotta. Tuttavia, la normativa contempla un altro strumento: la diffida amministrativa.

Il recente intervento legislativo in materia di semplificazione amministrativa, attuato con il D.Lgs. 103/2024, ha previsto che “salvo che il fatto costituisca reato, per le violazioni per le quali è prevista l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria non superiore nel massimo a cinquemila euro, l’organo di controllo incaricato, nel caso in cui accerti, per la prima volta nell’arco di un quinquennio, l’esistenza di violazioni sanabili, diffida l’interessato a porre termine alla violazione, ad adempiere alle prescrizioni violate e a rimuovere le conseguenze dell’illecito amministrativo entro un termine non superiore a 20 giorni dalla data della notificazione dell’atto di diffida”.

I requisiti per l’applicazione della diffida amministrativa

Affinché possa essere applicata la diffida amministrativa, devono sussistere tre condizioni fondamentali:

  • La sanzione amministrativa prevista non deve superare, nel suo massimo edittale, i 5.000 euro (sono quindi escluse violazioni più gravi come la maxisanzione per lavoro “nero”);
  • La violazione deve essere accertata per la prima volta nell’arco di un quinquennio;
  • L’irregolarità deve essere materialmente sanabile.

Questo significa che se nei cinque anni precedenti all’accesso ispettivo l’ente sportivo ha già commesso la medesima violazione o un’altra violazione in materia di lavoro e legislazione sociale soggetta a diffida, questo istituto non sarà applicabile alla nuova violazione accertata.

Il procedimento e le conseguenze della diffida

Una volta notificata la diffida, si aprono due scenari possibili:

  • In caso di ottemperanza entro il termine indicato (non superiore a 20 giorni), il procedimento sanzionatorio si estingue limitatamente alle inosservanze sanate, senza alcun addebito sanzionatorio per l’ente sportivo;
  • In caso di mancata ottemperanza alla diffida entro il termine indicato, il personale ispettivo procede direttamente a contestare l’illecito entro 90 giorni dall’accertamento, applicando gli importi sanzionatori previsti dall’art. 19, comma 3, del D.lgs. n. 276/2003 (da 100 a 500 euro per ogni lavoratore).

Un caso pratico: la prima violazione “perdonata”

Per comprendere meglio il meccanismo, prendiamo il caso di un’a.s.d. che gestisce corsi di nuoto con 5 istruttori e che, per dimenticanza, non ha provveduto alla comunicazione al RAS dei relativi rapporti di lavoro.

Durante un accesso ispettivo dell’INL viene rilevata questa omissione. Se l’associazione non ha commesso violazioni analoghe nei cinque anni precedenti, gli ispettori emetteranno una diffida amministrativa, concedendo all’a.s.d. un termine massimo di 20 giorni per regolarizzare la propria posizione inserendo i dati nel RAS.

Se l’a.s.d. provvede tempestivamente all’adempimento, non subirà alcuna sanzione. Se invece non ottempera alla diffida, sarà soggetta a una sanzione che, considerando i 5 collaboratori, potrà oscillare da un minimo di 500 euro (100 × 5) a un massimo di 2.500 euro (500 × 5).

La ratio della norma: seconda chance ma no recidiva

Il meccanismo della diffida amministrativa riflette un approccio del legislatore orientato più alla regolarizzazione che alla sanzione. In sostanza, il messaggio è che “una volta (al primo accertamento da parte degli uffici dell’INL) si può sbagliare” e quindi non si applicano sanzioni, mentre la seconda violazione sarà punita con maggiore severità.

Questo sistema favorisce gli enti sportivi che commettono violazioni per la prima volta, presumibilmente per errore o scarsa conoscenza della normativa, ma disincentiva la recidiva.

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