info@studiopizzano.it

Plusvalenze aziendali: quando conviene la tassazione integrale o la rateazione

10 Aprile, 2025

La normativa fiscale italiana concede alle imprese una significativa flessibilità nella gestione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di beni aziendali. Gli imprenditori possono scegliere tra la tassazione integrale nell’anno di realizzazione o la rateazione in cinque quote costanti. Ma qual è l’opzione più vantaggiosa? La risposta non è univoca e dipende dalla situazione fiscale specifica dell’azienda.

Chi può optare per la tassazione rateizzata

Tutti i titolari di reddito d’impresa possono beneficiare della possibilità di scegliere tra tassazione integrale o rateizzata delle plusvalenze. Il legislatore non fa distinzioni tra soggetti in contabilità ordinaria o semplificata. Tuttavia, esistono condizioni precise: i beni devono essere stati posseduti per almeno tre anni (un solo anno per le società sportive professionistiche) e la scelta deve essere formalizzata nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di realizzo.

Quali beni generano plusvalenze fiscalmente rilevanti

Non tutti i beni aziendali generano plusvalenze fiscalmente rilevanti. L’articolo 86 del TUIR stabilisce che concorrono alla formazione del reddito le plusvalenze derivanti da diversi tipi di beni. Tra questi rientrano i beni strumentali ammortizzabili come immobili, macchinari e attrezzature. Anche i beni non ammortizzabili, quali i terreni che non costituiscono “beni merce”, generano plusvalenze rilevanti fiscalmente. Lo stesso vale per le immobilizzazioni immateriali, tra cui brevetti, licenze e concessioni, così come per le immobilizzazioni materiali non strumentali, definite beni patrimonio. Infine, sono incluse le partecipazioni e altri titoli iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie. La normativa esclude esplicitamente i “beni merce”, ovvero quelli destinati alla vendita nell’ambito dell’attività caratteristica dell’impresa.

Come si realizzano le plusvalenze

La plusvalenza emerge in tre circostanze specifiche. La prima è la cessione a titolo oneroso del bene, mentre la seconda riguarda il risarcimento, anche in forma assicurativa, per perdita o danneggiamento del bene stesso. La terza circostanza si verifica in caso di assegnazione ai soci o destinazione a finalità estranee all’impresa, incluso il consumo personale dell’imprenditore. Nel caso di cessione o risarcimento, la plusvalenza è data dalla differenza tra corrispettivo (o indennizzo) e costo fiscalmente riconosciuto non ammortizzato. Nel terzo caso, invece, si considera il valore normale del bene al momento dell’uscita dal circuito aziendale.

Come calcolare correttamente la plusvalenza

Il calcolo della plusvalenza richiede attenzione ai valori fiscali rilevanti. Prendiamo un esempio concreto: un’azienda cede un macchinario con costo storico di 100.000 euro, fondo ammortamento di 70.000 euro e valore contabile residuo di 30.000 euro. Se il prezzo di vendita è di 50.000 euro, la plusvalenza ammonta a 20.000 euro, calcolata come differenza tra il prezzo di vendita e il valore contabile residuo. È importante prestare attenzione alle differenze tra valori civilistici e fiscali. Se il fondo ammortamento fiscale differisce da quello civilistico, la plusvalenza fiscale potrebbe non coincidere con quella di bilancio, generando differenze temporanee che richiedono la gestione della fiscalità differita.

Quando imputare la plusvalenza

Le plusvalenze concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza. Per determinare tale momento, la norma considera diversi fattori temporali. Per i beni mobili, rileva la data di consegna o spedizione, mentre per immobili e aziende conta la data di stipula dell’atto. In alternativa, si considera la data in cui si verifica l’effetto traslativo della proprietà, se successiva alle precedenti. Per i soggetti IAS adopter, vale il principio della soddisfazione delle obbligazioni contrattuali secondo l’IFRS 15, mentre per chi applica i principi contabili nazionali rileva il trasferimento dei rischi e benefici, come stabilito dall’OIC 16.

Tassazione in unico esercizio o rateazione: confronto pratico

La decisione tra tassazione integrale e rateazione non è banale. Vediamo due scenari illustrativi:

Scenario 1: Azienda con utili stabili

Consideriamo un’impresa che ha realizzato una plusvalenza di 20.000 euro e presenta un reddito imponibile (al netto della plusvalenza) di 120.000 euro. Con la tassazione integrale, l’IRES nell’anno 1 sarebbe di 4.800 euro, calcolata come 20.000 moltiplicato per l’aliquota del 24%. Con la rateazione quinquennale, invece, l’IRES sarebbe di 960 euro per ciascun anno dal primo al quinto, derivante da 4.000 euro (un quinto della plusvalenza) moltiplicati per la stessa aliquota del 24%. In questo caso, il vantaggio della rateazione è puramente finanziario: posticipare parte del carico fiscale nel tempo.

Scenario 2: Azienda con perdite fiscali

Il quadro cambia radicalmente se l’azienda presenta perdite fiscali in alcuni degli anni interessati dalla rateazione. Ipotizziamo che l’impresa registri perdite fiscali negli anni 3 e 4. Con tassazione integrale, l’IRES sarebbe di 4.800 euro concentrati nell’anno 1. Con la rateazione, invece, l’imposta totale scenderebbe a 2.880 euro, calcolati come 960 euro per tre anni (anni 1, 2 e 5), mentre negli anni con perdite (3 e 4) l’imposta sarebbe zero. Il risparmio apparente di 1.920 euro va però ridimensionato. Le perdite riportabili agli esercizi successivi risultano infatti già ridotte delle rate di plusvalenza, e il loro utilizzo è soggetto a limitazioni temporali.

Scenario 3: Azienda in perdita nell’anno di realizzo

Se l’impresa presenta una perdita fiscale capiente nell’anno di realizzo della plusvalenza, la situazione si rovescia. Ipotizziamo una plusvalenza di 20.000 euro e una perdita fiscale (prima della plusvalenza) di 45.000 euro. Con la tassazione integrale, la perdita fiscale risultante sarebbe di 25.000 euro, senza alcuna imposta nell’anno corrente. Con la rateazione, invece, la perdita fiscale risultante salirebbe a 41.000 euro, sempre senza imposta nell’anno corrente. In questo scenario, la tassazione integrale potrebbe risultare più conveniente, poiché l’intera plusvalenza viene neutralizzata dalla perdita fiscale esistente.

Criteri decisionali: quali fattori considerare

La scelta ottimale dipende da diversi fattori correlati. Innanzitutto, occorre valutare la previsione reddituale futura: se si prevedono utili crescenti, la rateazione può distribuire il carico fiscale in anni a minore pressione fiscale. La presenza di perdite fiscali, sia pregresse che previste, influisce significativamente sulla convenienza dell’una o dell’altra opzione. Anche i flussi di cassa rappresentano un elemento cruciale, in quanto determinano la capacità dell’impresa di sostenere finanziariamente il carico fiscale immediato. Inoltre, la stabilità aziendale va tenuta in considerazione: in caso di possibile cessazione dell’attività, la tassazione integrale potrebbe essere l’unica opzione praticabile. Un ulteriore elemento da considerare è la gestione della fiscalità differita, che può complicare il bilancio in caso di differenze tra valori civilistici e fiscali.

Come formalizzare la scelta

La scelta per la rateazione va formalizzata nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di realizzo della plusvalenza, compilando l’apposito prospetto “Plusvalenze e sopravvenienze attive” nel quadro RS. In assenza di dichiarazione, la plusvalenza concorrerà automaticamente per l’intero ammontare nell’esercizio di realizzo.

Articoli correlati