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Regime forfettario: preclusione all’accesso con consapevolezza di superamento soglia

29 Aprile, 2025

Il regime forfettario risulta precluso ai contribuenti che, in fase di apertura della partita IVA, sono già consapevoli che supereranno il limite degli 85.000 euro di ricavi o compensi entro l’anno. Questo principio fondamentale, benché apparentemente scontato, continua a generare errori interpretativi tra i professionisti e gli imprenditori che intendono avvalersi della tassazione agevolata.

La presunzione obbligatoria di rispetto dei requisiti

La normativa che disciplina il regime forfettario impone ai contribuenti un requisito essenziale già in fase di avvio dell’attività. Chi intende applicare questo regime fiscale agevolato deve espressamente comunicare, mediante il modello AA9/12 per l’apertura della partita IVA, di presumere il rispetto dei requisiti stabiliti dalla legge.

Tale prescrizione deriva direttamente dal comma 56 dell’articolo 1 della legge n. 190/2014, dove si stabilisce che “i contribuenti che iniziano un’attività d’impresa, arte o professione e che presumono di rispettare i requisiti e le condizioni previste per l’applicazione del regime in esame, hanno l’obbligo di darne comunicazione nella dichiarazione di inizio attività”.

Il verbo “presumere” assume qui un ruolo centrale: implica una valutazione prospettica e in buona fede da parte del contribuente, che deve ragionevolmente attendersi di non superare la soglia dei ricavi prevista dalla normativa.

Il caso specifico del promotore finanziario

Un esempio concreto chiarisce l’applicazione di questo principio. La risposta all’interpello n. 195/2019 dell’Agenzia delle Entrate analizza la situazione di un promotore finanziario che, dopo aver chiuso la propria partita IVA, ne aveva aperta una nuova nei primi mesi del 2025.

Il professionista, tuttavia, era già a conoscenza di una sentenza che gli riconosceva somme arretrate da recuperare da una società, per un importo complessivamente superiore alla soglia degli 85.000 euro. Nonostante ciò, aveva indicato in fattura l’applicazione del regime forfettario, addebitando però contestualmente l’IVA in via di rivalsa.

Questa contraddizione ha indotto la società destinataria della fattura a rivolgersi all’Amministrazione finanziaria per chiarire la correttezza del comportamento adottato dal professionista.

L’impossibilità di presumere il rispetto dei limiti

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che nel caso analizzato la “presunzione” di rispetto dei limiti non era possibile. Il promotore, infatti, al momento della dichiarazione di inizio attività, aveva già avuto notizia della sentenza che gli riconosceva un corrispettivo superiore ai limiti di adesione al regime forfettario.

Di conseguenza, l’addebito dell’IVA in fattura risultava corretto, mentre non lo era l’indicazione dell’applicazione del regime forfettario. I compensi percepiti a seguito della sentenza erano infatti soggetti ad IVA, in quanto non potevano beneficiare della tassazione agevolata.

Il calcolo del limite proporzionato all’anno di apertura

È importante sottolineare che, per le partite IVA aperte nel corso dell’anno, il limite di 85.000 euro deve essere ragguagliato al periodo di effettiva operatività. Ad esempio, per una partita IVA aperta il 1° ottobre 2024, l’importo massimo fatturabile da forfettario nel 2024 sarà pari a un quarto del totale, ovvero a 21.424,66 euro (85.000 euro riproporzionati per i 92 giorni di effettiva operatività del regime nel 2024).

Questo aspetto, apparentemente banale, rappresenta uno degli errori più comuni commessi dai contribuenti titolari di partita IVA. La regola del ragguaglio ad anno, infatti, viene spesso trascurata, con gravi conseguenze sul piano fiscale.

Le implicazioni fiscali della violazione

Nel caso esaminato, il promotore finanziario aveva correttamente addebitato l’IVA in fattura, riconoscendo implicitamente l’impossibilità di applicare il regime forfettario. Tale comportamento può configurarsi come comportamento concludente, idoneo ad essere considerato quale esercizio dell’opzione per la fuoriuscita dal regime forfettario.

L’errata applicazione del regime forfettario, d’altra parte, può comportare rilevanti conseguenze fiscali, tra cui:

  • L’obbligo di versare l’IVA sulle operazioni effettuate
  • La necessità di rettificare le dichiarazioni fiscali presentate
  • L’applicazione delle sanzioni previste per l’infedele dichiarazione

I controlli fiscali in corso

Negli ultimi mesi, il regime forfettario è stato oggetto di numerosi controlli fiscali che hanno evidenziato diverse irregolarità nella gestione contabile e fiscale di questo regime agevolato. Tra gli errori più frequentemente riscontrati vi è proprio quello relativo al mancato rispetto del limite dei ricavi, con particolare riferimento alla regola del ragguaglio ad anno per le partite IVA aperte in corso d’anno.

L’Amministrazione finanziaria sta prestando particolare attenzione a situazioni analoghe a quella del promotore finanziario, in cui il contribuente, pur consapevole del superamento della soglia, ha ugualmente optato per il regime agevolato.

La dimensione normativa del requisito

La disciplina del regime forfettario è contenuta nell’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge n. 190/2014 (legge di Stabilità 2015) e successive modificazioni. L’ultima modifica rilevante ha innalzato il limite di ricavi o compensi a 85.000 euro, rafforzando l’attrattività di questo regime per professionisti e piccoli imprenditori.

Tuttavia, il legislatore ha mantenuto fermo l’obbligo di dichiarare, in fase di apertura della partita IVA, di presumere il rispetto dei requisiti stabiliti, tra cui il non superamento della soglia di ricavi o compensi. Questo requisito rappresenta una condizione necessaria per l’accesso al regime agevolato, la cui violazione determina l’impossibilità di beneficiare della tassazione forfettaria.

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