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Rimborso diretto dell’IVA indebita: nuova tutela per il cessionario secondo la Corte UE

17 Marzo, 2025

Una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea segna un importante cambio di paradigma nel recupero dell’IVA indebitamente versata per operazioni non soggette a imposta. La sentenza C-640/23 conferma che gli Stati membri possono legittimamente negare il diritto alla detrazione in tali casi, ma al contempo stabilisce la necessità di garantire al cessionario la possibilità di richiedere direttamente all’Erario il rimborso dell’imposta quando risulti impossibile o eccessivamente difficile ottenerlo dal fornitore. Questa pronuncia rappresenta un punto di svolta significativo che imporrà adeguamenti alla normativa nazionale e agli orientamenti giurisprudenziali, con rilevanti conseguenze pratiche per tutti i soggetti passivi IVA.

La controversia alla base della sentenza europea

La causa origina da una fattispecie ormai frequente nella prassi commerciale: una cessione di beni strumentali riqualificata dall’Amministrazione finanziaria come cessione di ramo d’azienda. Il trasferimento di un’universalità parziale di beni configura, secondo la direttiva 2006/112/CE e la normativa dello Stato membro coinvolto, un’operazione non soggetta a IVA.

Nonostante ciò, il fornitore aveva erroneamente applicato e addebitato l’imposta, successivamente versata all’Erario. La controversia si è sviluppata quando la società cessionaria, trovandosi nell’impossibilità materiale di ottenere la restituzione dell’IVA dal fornitore, ha tentato di esercitare il diritto alla detrazione, vedendoselo negare dalle autorità fiscali nazionali.

Il nodo centrale della questione pregiudiziale sottoposta alla Corte di Giustizia Europea riguardava due aspetti fondamentali: la compatibilità della normativa nazionale che negava la detrazione con i principi unionali e l’individuazione delle concrete modalità di recupero dell’imposta indebitamente versata.

I principi affermati dalla Corte di Giustizia

La Corte europea ha esaminato la questione alla luce di due pilastri fondamentali della disciplina IVA: il principio di effettività e quello di neutralità dell’imposta.

Nel bilanciare questi principi, i giudici europei hanno stabilito che:

  • È legittima una normativa nazionale che nega al cessionario o committente il diritto alla detrazione dell’IVA indebitamente pagata al fornitore per operazioni riqualificate come non soggette a imposta.
  • Tale negazione è conforme ai principi unionali anche quando risulti impossibile o estremamente difficile per il cessionario ottenere la restituzione di quanto versato dal fornitore.
  • In tali circostanze, deve essere riconosciuta al soggetto passivo cessionario la possibilità di richiedere il rimborso dell’imposta direttamente all’Amministrazione finanziaria, purché siano adeguatamente scongiurati i rischi di evasione fiscale.

La Corte ha quindi tracciato un percorso che, pur mantenendo ferma la corretta qualificazione delle operazioni ai fini impositivi, garantisce la piena attuazione del principio di neutralità dell’IVA attraverso meccanismi alternativi di recupero dell’imposta indebitamente versata.

Impatti sulla normativa italiana

La pronuncia della Corte di Giustizia determina significative conseguenze per l’ordinamento italiano, che appaiono duplici e per certi versi contrastanti.

Da un lato, la sentenza sembra avallare la recente modifica legislativa introdotta dal D.Lgs. 87/2024 che, modificando l’art. 6 comma 6 del D.Lgs. 471/97, ha stabilito che il diritto alla detrazione per il cessionario spetta “per la sola imposta effettivamente dovuta in ragione della natura e delle caratteristiche dell’operazione posta in essere”. Tale formulazione esclude implicitamente il diritto alla detrazione quando l’imposta è stata erroneamente applicata su operazioni non soggette.

Dall’altro lato, la pronuncia europea evidenzia la necessità di un adeguamento della normativa nazionale, con particolare riferimento all’art. 30-ter del DPR 633/72, che disciplina le modalità di rimborso dell’IVA indebitamente versata. L’attuale orientamento giurisprudenziale italiano, recentemente ribadito dalla Cassazione con la sentenza n. 4101 del 17 febbraio 2025, tende infatti a escludere la possibilità per il soggetto passivo cessionario di richiedere la restituzione dell’imposta direttamente all’Erario.

Tale orientamento risulta ora in contrasto con i principi affermati dalla Corte europea, che richiedono la predisposizione di un meccanismo di rimborso diretto quando il recupero dell’imposta dal fornitore sia impossibile o eccessivamente difficoltoso.

Un caso pratico per comprendere meglio

Per comprendere la portata pratica della decisione, consideriamo il seguente scenario: la società Alfa cede alla società Beta alcuni macchinari industriali, applicando erroneamente l’IVA e addebitandola in fattura. Successivamente, l’Amministrazione finanziaria riqualifica l’operazione come cessione di ramo d’azienda, quindi non soggetta a IVA.

Nel frattempo, la società Alfa viene posta in liquidazione e risulta materialmente impossibile per Beta ottenere la restituzione dell’IVA indebitamente corrisposta.

Prima della sentenza in esame, Beta si sarebbe trovata in una situazione di stallo: impossibilitata a recuperare l’imposta dal fornitore e privata del diritto alla detrazione. Sulla base dei principi ora affermati dalla Corte di Giustizia, Beta avrà diritto a presentare domanda di rimborso direttamente all’Amministrazione finanziaria, salvaguardando così la neutralità dell’imposta.

Le azioni necessarie per il legislatore italiano

Alla luce della sentenza europea, il legislatore italiano dovrebbe intervenire tempestivamente per adeguare la normativa interna ai principi unionali. In particolare, risulta necessario:

  • Modificare l’art. 30-ter del DPR 633/72 per prevedere espressamente la possibilità di rimborso diretto al cessionario o committente nei casi di impossibilità o estrema difficoltà nel recupero dell’imposta dal fornitore.
  • Definire i criteri oggettivi per determinare quando il recupero dell’imposta dal fornitore possa considerarsi “impossibile” o “estremamente difficile”.
  • Predisporre adeguate misure antifrode per scongiurare abusi nel ricorso al rimborso diretto.

In sintesi

IN SINTESI


Qual è il principio fondamentale affermato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea? La sentenza C-640/23 stabilisce che gli Stati membri possono legittimamente negare il diritto alla detrazione dell’IVA indebitamente versata per operazioni non soggette a imposta, ma devono garantire al cessionario la possibilità di richiedere il rimborso direttamente all’Erario quando il recupero dal fornitore risulti impossibile o eccessivamente difficile.


Qual era la controversia alla base del caso? Il caso riguardava una cessione di beni strumentali riqualificata come cessione di ramo d’azienda, quindi non soggetta a IVA. Tuttavia, il fornitore aveva erroneamente applicato l’IVA e versato l’imposta all’Erario. Il cessionario, impossibilitato a recuperare l’IVA dal fornitore, si è visto negare il diritto alla detrazione dalle autorità fiscali nazionali.


Quali principi ha applicato la Corte nella sua decisione? La Corte ha bilanciato il principio di effettività e quello di neutralità dell’IVA, affermando che il cessionario non ha diritto alla detrazione in caso di imposta erroneamente applicata, ma deve avere la possibilità di ottenere il rimborso dall’Erario se il recupero dal fornitore è impraticabile.


Quali sono gli effetti della sentenza sulla normativa italiana? La pronuncia conferma l’impostazione della recente modifica normativa italiana che nega la detrazione per IVA indebitamente applicata. Tuttavia, impone una revisione dell’art. 30-ter del DPR 633/72, che attualmente non prevede un meccanismo di rimborso diretto per il cessionario, in contrasto con i principi unionali.


Qual è un esempio pratico dell’impatto della decisione? Se una società riceve una fattura con IVA per un’operazione poi riqualificata come non soggetta, e il fornitore è in liquidazione, il cessionario, in base alla nuova sentenza, potrà chiedere il rimborso direttamente all’Amministrazione finanziaria, evitando una perdita finanziaria.


Quali interventi sono necessari da parte del legislatore italiano? Il legislatore dovrà modificare l’art. 30-ter del DPR 633/72 per introdurre il rimborso diretto, stabilire criteri chiari per definire l’impossibilità di recupero dal fornitore e adottare misure antifrode per prevenire abusi del sistema. 

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