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Rimborso IVA non dovuta: la Corte UE tutela il diritto anche con scontrino fiscale

3 Aprile, 2024

Con una importante sentenza del 21 marzo 2024 (causa C-606/22), la Corte di Giustizia UE ha affermato alcuni rilevanti principi sul diritto al rimborso dell’IVA versata in eccesso a causa dell’errata applicazione dell’aliquota, anche in caso di documentazione tramite scontrino fiscale anziché fattura.

I fatti controversi riguardavano un’impresa polacca operante nel settore sportivo-ricreativo. Avendo erroneamente applicato l’aliquota IVA ordinaria del 23% invece di quella agevolata dell’8%, l’impresa aveva rettificato le proprie liquidazioni periodiche chiedendo il rimborso della maggiore imposta versata all’Erario. Le operazioni erano state certificate con scontrini fiscali e non con fatture.

L’Amministrazione fiscale polacca aveva negato il rimborso, sostenendo che in assenza di fatturazione l’impresa non poteva rettificare l’imposta applicata.

Rimborso IVA e principi comunitari

La Corte UE ha innanzitutto ribadito che il sistema comune dell’IVA è improntato al principio di neutralità fiscale, che impone di sollevare interamente gli operatori economici dal carico dell’imposta dovuta o pagata nell’esercizio delle proprie attività imponibili.

Secondo i giudici di Lussemburgo, precludere il rimborso della maggiore IVA applicata per il solo fatto che le operazioni siano state certificate con scontrino fiscale anziché fattura, violerebbe una serie di principi cardine:

  • Principio di effettività del diritto al rimborso dell’eccedenza d’imposta versata;
  • Principio di neutralità fiscale rispetto agli operatori che hanno applicato l’aliquota corretta;
  • Principio di parità di trattamento e di neutralità concorrenziale, in quanto l’onere dell’imposta indebita può determinare un svantaggio competitivo rispetto ai concorrenti diretti, sia in termini di minori vendite che di compressione dei margini di profitto.

L’unica deroga ammessa è il caso di arricchimento senza causa del soggetto passivo, ma l’onere della prova sulla neutralizzazione integrale dell’onere economico dell’IVA erroneamente applicata ricade sull’Amministrazione finanziaria.

Principi operativi

Nel dettaglio, la Corte ha enunciato i seguenti principi:

  • L’IVA, pur essendo un’imposta sul consumo finale, rappresenta un costo per l’operatore economico solo in via transitoria, poiché il sistema di detrazione dell’IVA assolta a monte mira a sollevarlo integralmente da questo onere.
  • Il prezzo convenuto tra le parti di un’operazione include l’IVA relativa, indipendentemente dall’emissione di fattura. Pertanto, anche in presenza di mero scontrino fiscale, si presume che l’IVA sia stata trasferita sul consumatore finale nel prezzo pagato.
  • Tuttavia, anche in caso di traslazione integrale dell’imposta, l’operatore potrebbe aver subito comunque un danno economico in termini di minori vendite o compressione dei margini di profitto a causa dell’aliquota IVA applicata in eccesso.
  • Ne consegue che, fermi i controlli antiabuso, il diritto alla rettifica dell’IVA applicata in eccesso non può essere negato solo perché le operazioni sono documentate con scontrino fiscale invece che fattura.
  • Viceversa, il rimborso potrà essere legittimamente negato solo se l’Amministrazione finanziaria dimostri che, per l’operazione specifica, lo svantaggio economico causato dall’errata applicazione dell’aliquota è stato completamente neutralizzato (ad esempio, perché l’impresa ha trasferito l’intero onere sul consumatore finale senza subire impatti sul volume d’affari o sui margini).

In tale ipotesi, il rimborso dell’IVA comporterebbe un ingiustificato arricchimento per il soggetto passivo, ma l’onere della prova incombe sul Fisco.

La sentenza appare particolarmente rilevante per tutti quegli operatori economici che applicano l’IVA con scontrino fiscale, come nel commercio al dettaglio o nei pubblici esercizi, rafforzando il loro diritto al rimborso dell’imposta erroneamente versata in eccesso.

Principio di neutralità e parità di trattamento

Uno dei punti chiave della sentenza riguarda la tutela del principio di neutralità fiscale e di parità di trattamento tra gli operatori economici.

Come evidenziato dalla Corte, negare il rimborso dell’IVA indebitamente applicata in eccesso solo per il fatto che le operazioni siano certificate mediante scontrino fiscale anziché fattura creerebbe una disparità di trattamento rispetto ai concorrenti diretti che hanno applicato l’aliquota IVA corretta fin dall’inizio.

Ciò violerebbe il principio di neutralità concorrenziale, in quanto l’impresa che ha erroneamente versato la maggiore IVA si troverebbe in una situazione di svantaggio competitivo rispetto agli altri operatori. Tale svantaggio può concretizzarsi in una diminuzione del volume delle vendite o nella necessità di ridurre i margini di profitto per mantenere prezzi allineati ai concorrenti “virtuosi”.

La disparità di trattamento risulterebbe ancor più evidente laddove, nello stesso settore merceologico, alcuni operatori emettano fattura (con conseguente diritto alla rettifica dell’IVA) mentre altri certifichino le operazioni solo con scontrini fiscali.

Limiti al diritto di rimborso: l’arricchimento senza causa

L’unica eccezione al diritto di rimborso dell’eccedenza di IVA applicata, ammessa dalla Corte UE, è il caso di arricchimento senza giusta causa del soggetto passivo.

Questa ipotesi ricorre quando l’onere economico dell’IVA indebitamente riscossa sia stato integralmente trasferito sui clienti/consumatori finali, ad esempio tramite un adeguamento dei prezzi di vendita.

In tale evenienza, ove l’Amministrazione finanziaria riesca a dimostrare che non vi è stato alcun danno economico o svantaggio competitivo per l’impresa, il rimborso dell’IVA potrebbe essere negato per evitare un ingiustificato vantaggio per il soggetto passivo.

Tuttavia, l’onere della prova dell’avvenuta neutralizzazione del danno economico subito ricade interamente sull’Amministrazione fiscale, che dovrà valutare caso per caso gli specifici impatti dell’errata applicazione dell’aliquota IVA.

Rilevanza per gli operatori in regime di scontrino fiscale

La sentenza della Corte UE riveste particolare importanza per tutti gli operatori economici che certificano le proprie operazioni attive mediante l’emissione di scontrino o ricevuta fiscale, come ad esempio la gran parte delle attività commerciali al dettaglio e dei pubblici esercizi di ristorazione.

Per questa ampia platea di soggetti passivi, la pronuncia di Lussemburgo conferma in via definitiva il diritto a rettificare l’IVA erroneamente applicata in eccesso, salva la prova dell’arricchimento senza causa da parte del Fisco.

Si rafforza così l’effettiva fruizione di un principio cardine del sistema comune dell’IVA, ossia il diritto al rimborso dell’imposta versata e non dovuta, a prescindere dalle modalità di certificazione delle operazioni imponibili.

Onere della prova e accertamenti da parte del Fisco

Un altro aspetto rilevante della sentenza riguarda l’onere della prova in capo all’Amministrazione finanziaria per negare il rimborso dell’IVA applicata in eccesso.

Come visto, l’unica eccezione ammessa è il caso di integrale neutralizzazione dell’onere economico dell’imposta indebita, tale da configurare un’ipotesi di arricchimento senza causa per il soggetto passivo.

Spetterà dunque al Fisco provare che, nel caso specifico, l’impresa non ha subito alcun danno o svantaggio competitivo a causa dell’errata applicazione dell’aliquota IVA, ad esempio perché:

  • Ha prontamente adeguato i prezzi di vendita per trasferire l’intero onere sul consumatore finale;
  • Non ha registrato alcuna contrazione del volume d’affari o delle quote di mercato;
  • Non ha dovuto comprimere i margini di profitto per allinearsi ai prezzi dei concorrenti “virtuosi”.

Diversamente, ove l’Amministrazione non raggiunga la prova dell’avvenuta neutralizzazione del danno economico, l’impresa avrà pieno diritto al rimborso dell’eccedenza di imposta applicata, indipendentemente dall’emissione di fattura o scontrino fiscale.

Gli accertamenti del Fisco potranno basarsi su vari elementi, quali:

  • Analisi dell’andamento del volume d’affari prima e dopo l’errata applicazione dell’aliquota;
  • Raffronto con i dati di settore e dei concorrenti diretti;
  • Verifica dei listini prezzi e delle eventuali variazioni apportate;
  • Esame della situazione economica e reddituale dell’impresa nel periodo di imposta considerato.

Particolare attenzione andrà riservata alle imprese operanti in regimi di franchigia, nel commercio al dettaglio o nei pubblici esercizi, dove diventa più complesso ricostruire il reale trasferimento dell’onere tributario sui consumatori finali.

Rilevanza anche per il recupero dell’indebitamente versato

Infine, va sottolineato che i principi enunciati dalla Corte UE non riguardano solo l’ipotesi di rimborso IVA, ma si applicano anche al diverso caso del recupero dell’imposta indebitamente versata all’Erario.

Anche in quest’ultima eventualità, infatti, l’operatore economico potrà chiedere il riconoscimento del credito IVA derivante dall’errata applicazione dell’aliquota sulle operazioni attive, senza che l’Amministrazione possa opporre preclusioni legate alla mera mancanza di fatturazione.

Il recupero dell’indebitamente versato resta soggetto alle ordinarie regole in materia di termini, modalità e interessi, ma la Corte di Giustizia ha ribadito che nemmeno in questo caso il tipo di documentazione fiscale può costituire un elemento ostativo all’esercizio del diritto alla rettifica dell’imposta assolta in eccesso.

In conclusione, la recente pronuncia di Lussemburgo appare destinata a impattare significativamente sulla gestione dei rapporti tra operatori economici e Amministrazioni fiscali nazionali, rafforzando in modo sostanziale la tutela del legittimo affidamento dei contribuenti nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto.

Esempi pratici

  1. Un ristorante ha erroneamente applicato l’aliquota IVA ordinaria del 22% anziché quella agevolata del 10% prevista per la somministrazione di alimenti e bevande. Le operazioni sono state certificate con lo scontrino fiscale. A fine anno, l’esercizio chiede il rimborso dell’IVA versata in eccesso.
    Secondo la sentenza, il rimborso non può essere negato in via automatica solo perché non sono state emesse fatture. L’Amministrazione potrà negarlo solo dimostrando che il ristorante ha trasferito integralmente l’onere sul consumatore finale senza subire danni economici.
  2. Un negozio di abbigliamento ha applicato per errore l’aliquota del 22% invece del 10% previsto per i capi di vestiario per bambini sotto i 14 anni. A fine trimestre, chiede la rettifica dell’imposta con il rimborso dell’eccedenza, pur avendo certificato le vendite solo con scontrini fiscali.
    Anche in questo caso, non potendo il Fisco negare automaticamente il rimborso, dovrà valutare se l’impresa ha potuto trasferire l’intero onere sui consumatori finali o se invece ha subito impatti sui volumi di vendita o sui margini di profitto.
  3. Un’impresa edile che svolge lavori di ristrutturazione agevolati al 10% ha applicato l’aliquota ordinaria del 22% sui corrispettivi documentati con ricevuta fiscale. Pur avendo traslato l’IVA più elevata sui committenti, ha registrato un calo del 15% delle commesse per l’aumento dei prezzi rispetto ai concorrenti.
    In questo caso, il diritto al rimborso appare difficilmente contestabile, avendo l’impresa subito uno svantaggio competitivo con perdita di quote di mercato, nonostante l’avvenuto trasferimento dell’onere sui clienti.

Domande e risposte

D: Un benzinaio che ha applicato l’aliquota IVA del 22% anzichè quella agevolata del 10% sui carburanti può chiedere il rimborso dell’eccedenza?
R: Sì, il diritto al rimborso sussiste anche qualora le operazioni siano state documentate con scontrino fiscale, salvo che il Fisco dimostri l’inesistenza di alcun danno economico per l’impresa derivante dall’errata applicazione dell’aliquota.

D: Un centro estetico ha erroneamente applicato l’aliquota ordinaria anziché quella ridotta sui trattamenti di medicina estetica non detraibili. Può chiedere il rimborso nonostante abbia emesso solo ricevute fiscali?
R: Anche in questo caso, l’operatore ha diritto alla rettifica dell’IVA versata in eccesso, a meno che l’Amministrazione finanziaria non provi che non vi è stato alcun danno economico per effetto dell’errata applicazione dell’aliquota.

D: Cosa accade se il Fisco dimostra che l’impresa ha prontamente ritoccato i listini prezzi per trasferire integralmente l’eccedenza di IVA sui consumatori finali?
R: In tale ipotesi, l’Amministrazione potrebbe legittimamente negare il rimborso IVA, avendo neutralizzato in toto l’onere economico dell’imposta indebita con un conseguente ingiustificato arricchimento per il soggetto passivo.

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