Rinuncia ai dividendi: profili fiscali tra interpelli e sentenze https://www.studiopizzano.it/rinuncia-ai-dividendi-profili-fiscali-tra-interpelli-e-sentenze/ |
L'interpello n. 59/E/2025 riapre il dibattito sulla rinuncia ai dividendi già deliberati e le relative conseguenze tributarie, evidenziando un contrasto interpretativo tra Agenzia delle Entrate e Corte di Cassazione. La questione investe sia le società sia i soci, con rilevanti implicazioni dichiarative per l'anno d'imposta 2024.
La rinuncia al dividendo rappresenta un atto unilaterale recettizio mediante il quale il socio, creditore della società, rinuncia volontariamente al proprio diritto. Non si tratta di una deliberazione assembleare, bensì dell'esercizio di una facoltà individuale del socio di disporre del proprio credito.
Dal punto di vista contabile, questa operazione genera un incremento del patrimonio netto aziendale attraverso una riserva da apporto, senza alcuna rilevazione di componenti positivi nel Conto economico. Il documento OIC 28, al paragrafo 36, conferma questo trattamento specificando che "la rinuncia del credito da parte del socio - se dalle evidenze disponibili è desumibile che la natura della transazione è il rafforzamento patrimoniale della società - è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio a prescindere dalla natura originaria del credito".
L'assenza di impatto sul Conto economico solleva l'interrogativo sulla necessità di effettuare eventuali variazioni in aumento nel modello Redditi qualora sussistessero i presupposti per la tassazione della sopravvenienza.
La disciplina fiscale applicabile trova il suo fondamento nell'articolo 88, comma 4-bis del TUIR, che prevede la tassazione come sopravvenienza attiva della rinuncia ai crediti da parte dei soci, limitatamente all'eccedenza rispetto al valore fiscalmente riconosciuto. La norma impone al socio di comunicare alla società, mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio, l'importo del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia.
Questo meccanismo risponde alla necessità di evitare salti d'imposta che potrebbero verificarsi quando un costo originariamente dedotto dalla società non generi tassazione né in capo alla società stessa né in capo al socio rinunciante.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16595/2023, ha offerto una lettura della norma che diverge significativamente dall'interpretazione dell'Amministrazione finanziaria. Secondo i giudici di legittimità, il valore fiscale del credito per dividendi detenuto da una persona fisica deve considerarsi pari a zero. Questa impostazione comporterebbe la tassazione integrale come sopravvenienza attiva in capo alla società del credito oggetto di rinuncia.
La tesi della Cassazione si basa sull'assunto che tutti i crediti correlati a redditi tassabili per cassa avrebbero valore fiscale nullo. Questa posizione appare tuttavia problematica, considerando che il criterio generale di determinazione del valore fiscale dovrebbe essere quello nominale per crediti acquisiti a titolo originario.
Di segno opposto l'orientamento dell'Agenzia delle Entrate espresso nell'interpello n. 59/E/2025, che riprende quanto già affermato nella risoluzione n. 124/E/2017. Secondo l'Amministrazione finanziaria, il credito vantato da un socio persona fisica ha sempre valore fiscale pari al nominale, rendendo superflua qualsiasi comunicazione alla società. Conseguentemente, la rinuncia non determina alcuna sopravvenienza attiva tassabile in capo alla società.
Sebbene l'Agenzia delle Entrate escluda la tassazione della sopravvenienza in capo alla società, introduce un elemento di criticità sostenendo l'applicabilità dell'istituto dell'incasso giuridico. Secondo questa impostazione, il socio rinunciante dovrebbe assoggettare a tassazione un dividendo figurativo, con applicazione della ritenuta d'imposta del 26%.
L'Amministrazione finanziaria riconduce questa conclusione al principio secondo cui la rinuncia a un credito correlato a redditi tassabili per cassa equivale all'incasso giuridico del reddito stesso.
Tale automatismo presenta tuttavia una debolezza logica nel caso specifico dei dividendi. Mentre l'incasso giuridico trova la sua giustificazione nell'esigenza di evitare salti d'imposta in relazione a costi precedentemente dedotti, nel caso dei dividendi questo presupposto viene meno. La deliberazione di distribuzione dei dividendi determina infatti un mero spostamento contabile dal patrimonio netto al passivo, senza mai transitare per il Conto economico. Non essendoci stato alcun costo dedotto, manca il presupposto fondamentale per l'applicazione dell'istituto dell'incasso giuridico.
Le divergenti interpretazioni hanno conseguenze pratiche rilevanti:
Un caso pratico può chiarire la questione: immaginiamo una società che delibera dividendi per 100.000 euro a favore del socio persona fisica Tizio. Se Tizio rinuncia successivamente al dividendo:
La posizione più coerente con i principi generali del sistema tributario sembrerebbe quella che riconosce al credito da dividendo il valore nominale, escludendo quindi la tassazione della sopravvenienza in capo alla società. Contestualmente, appare criticabile l'applicazione dell'istituto dell'incasso giuridico in assenza del presupposto fondamentale rappresentato dalla precedente deduzione di un costo.
Il contrasto interpretativo rende opportuno un intervento chiarificatore del legislatore, considerando che le scelte operative dei contribuenti comportano conseguenze fiscali significativamente diverse a seconda dell'orientamento seguito.
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Studio Pizzano - Dottore Commercialista Commercialista e revisore legale |