Una recente sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio ha segnato un punto fermo nel diritto tributario italiano: se è lo Stato a non onorare i propri debiti verso un’impresa, quest’ultima non può essere penalizzata con sanzioni e interessi per il mancato pagamento delle imposte. Al centro della vicenda, una società creditrice di oltre 50 milioni di euro per appalti pubblici, costretta a versare 2,5 milioni a seguito di avvisi bonari. La Corte ha annullato la pretesa fiscale riconoscendo la “forza maggiore” come causa giustificativa dell’inadempimento. Vediamo nel dettaglio le implicazioni di questa decisione, i presupposti giuridici e le potenziali ripercussioni per imprese e professionisti.
Lo Stato inadempiente non può punire chi subisce il ritardo
La sentenza n. 22057/2025 rappresenta un’importante affermazione del principio di equità fiscale. Secondo il collegio giudicante della Corte tributaria del Lazio, non è giuridicamente ammissibile che l’Amministrazione finanziaria persegua un’impresa per il mancato pagamento tempestivo di tributi, quando è la stessa pubblica amministrazione a causare quella condizione di insolvenza. Nel caso specifico, la società ricorrente ha documentato l’esistenza di crediti verso enti pubblici per oltre 50 milioni di euro, maturati tra il 2012 e il 2014, ma mai incassati in tempi utili. Questo squilibrio ha impedito all’impresa di rispettare i propri obblighi fiscali.
La forza maggiore come scudo legittimo
A fondamento della decisione, la Corte ha riconosciuto la forza maggiore come causa idonea a esonerare il contribuente da responsabilità sanzionatorie. Il concetto, mutuato dal diritto civile e ormai consolidato anche in ambito tributario grazie a numerose pronunce di Cassazione (tra cui la n. 987/2023), prevede la presenza congiunta di due elementi: uno oggettivo e uno soggettivo.
L’elemento oggettivo si riferisce all’esistenza di circostanze eccezionali ed estranee alla volontà del contribuente, come in questo caso il mancato pagamento da parte della pubblica amministrazione. Quello soggettivo, invece, richiede che l’impresa abbia fatto quanto in suo potere per evitare l’inadempimento, dimostrando diligenza e proattività.
Nel caso in esame, l’azienda ha prodotto tre perizie tecniche e centinaia di documenti a supporto della propria tesi, mostrando di aver tentato ogni via legale per ottenere il pagamento: azioni giudiziarie, istanze di recupero crediti e ricerca di fonti di finanziamento alternative. Queste prove sono state ritenute sufficienti per dimostrare l’incolpevolezza del contribuente.
Nessun intento elusivo nelle operazioni straordinarie
Durante il giudizio, l’Agenzia delle entrate aveva ipotizzato che le difficoltà nel pagamento potessero essere collegate a operazioni societarie volte a eludere i controlli fiscali. Tuttavia, i giudici hanno escluso ogni intento distrattivo. Le operazioni straordinarie come fusioni, scissioni e cessioni di rami d’azienda, avvenute nel corso del tempo, sono state ritenute lecite e non influenti sulla posizione fiscale della società. Neppure l’adesione a un regime di Iva di gruppo ha rappresentato un ostacolo per l’accoglimento del ricorso.
Il rimborso e le spese legali
La Corte ha stabilito che l’Agenzia delle entrate dovrà restituire integralmente i 2,5 milioni di euro versati dall’impresa a titolo di sanzioni e interessi. A ciò si aggiunge la condanna al pagamento delle spese legali, quantificate in 15 mila euro. Un riconoscimento non solo economico, ma anche simbolico, della correttezza del comportamento tenuto dalla società e del torto subito per effetto di una rigidità amministrativa che ha ignorato le condizioni reali del contribuente.
Implicazioni per il sistema fiscale
Questa pronuncia apre scenari significativi per tutte quelle imprese che, pur vantando crediti certi, liquidi ed esigibili verso lo Stato, si trovano in difficoltà a causa dei ritardi cronici della pubblica amministrazione nei pagamenti. Il principio affermato dalla Corte del Lazio potrebbe essere fatto valere anche in altri contenziosi, a condizione che venga rispettata la doppia prova della forza maggiore. È quindi fondamentale per le imprese documentare in modo puntuale le proprie azioni e i danni subiti.
Esempio pratico
Immaginiamo un’impresa edile che realizza una scuola su incarico di un Comune e aspetta da anni il pagamento delle somme pattuite. Se a causa di questo ritardo si trova impossibilitata a versare l’Iva o le ritenute, e se dimostra di aver cercato soluzioni senza successo, potrebbe legittimamente chiedere l’annullamento delle sanzioni e interessi imposti dal fisco, proprio sulla base della sentenza esaminata.