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Società di comodo e responsabilità personale: quando soci e amministratori rispondono delle sanzioni tributarie

30 Luglio, 2024

La recente sentenza n. 20960/2024 della Corte di Cassazione, depositata il 26 luglio 2024, ha gettato nuova luce su un tema di cruciale importanza nel diritto tributario: la responsabilità personale di soci e amministratori per le sanzioni relative a illeciti fiscali commessi attraverso società fittizie. Questa pronuncia merita un’analisi approfondita per comprenderne appieno le implicazioni pratiche e giuridiche.

Il caso concreto: un gruppo societario sotto la lente del fisco

La vicenda giudiziaria trae origine da una complessa operazione di accertamento fiscale. L’Agenzia delle Entrate aveva emesso avvisi di accertamento e atti di contestazione di sanzioni nei confronti di due individui, identificati come soci e amministratori di fatto di un articolato gruppo societario. Secondo l’accusa, questa struttura aziendale era stata architettata con il preciso scopo di aggirare non solo la normativa fiscale, ma anche quella sulla somministrazione di lavoro.

L’ipotesi investigativa delineava un sistema di interposizioni fittizie, finalizzato a distribuire occultamente i proventi illeciti ai reali beneficiari, nascosti dietro lo schermo societario. Si trattava, in sostanza, di un elaborato meccanismo di evasione fiscale e di elusione delle norme sul lavoro.

Il principio generale e la sua deroga

Per comprendere appieno la portata della sentenza, è necessario richiamare il principio generale stabilito dall’art. 7 del D.L. n. 269/2003. Questa norma prevede che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale di società o enti con personalità giuridica siano esclusivamente a carico della persona giuridica stessa. Si tratta di una deroga significativa al principio personalistico, secondo cui la sanzione dovrebbe colpire l’autore materiale della violazione.

Tuttavia, la giurisprudenza ha progressivamente delineato i confini di applicazione di questa disposizione. In particolare, si è chiarito che essa trova giustificazione solo quando la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata. Solo in questo caso si può giustificare il fatto che la sanzione pecuniaria non colpisca l’autore materiale, ma sia posta a carico del soggetto giuridico che ha effettivamente beneficiato delle violazioni tributarie.

Quando cade lo schermo societario

La Corte di Cassazione, con questa sentenza, ha ribadito e rafforzato un orientamento già emerso in precedenti pronunce. Il punto cruciale è il seguente: quando il rappresentante o l’amministratore della società hanno agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente come mero schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio vantaggio, viene meno la ratio dell’art. 7 del D.L. n. 269/2003.

In questi casi, si ripristina la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito. Questo principio trova applicazione anche quando l’autore della violazione sia un amministratore di fatto, e l’ente sia stato artificiosamente costituito al solo scopo di servire gli interessi della persona fisica.È importante sottolineare che l’onere della prova ricade sull’Amministrazione finanziaria. Spetta infatti al fisco dimostrare, anche in via presuntiva, il carattere fittizio dell’ente. Tale circostanza deve essere oggetto di un attento accertamento da parte del giudice tributario di merito.

L’applicazione nel caso concreto

Nel caso esaminato, la Commissione Tributaria Regionale aveva accertato la sussistenza di una società fittizia, utilizzata dai reali soci e amministratori di fatto quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio. Di conseguenza, non ha applicato la disposizione di cui all’art. 7 del D.L. n. 269/2003.

La Corte di Cassazione ha confermato questa impostazione, ritenendo corretto che i soci e gli amministratori di fatto fossero chiamati a rispondere personalmente e in concorso fra loro delle sanzioni, ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997. Questa norma, infatti, disciplina il concorso di persone nelle violazioni tributarie, prevedendo che quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta.

La posizione del consulente fiscale: un caso di non responsabilità

Un aspetto particolarmente interessante della vicenda riguarda la posizione del consulente contabile e fiscale coinvolto nel caso. Per questo soggetto, l’esito del giudizio è stato favorevole. I giudici hanno infatti ritenuto che non vi fossero elementi significativi per dimostrare un suo apporto causale nella perpetrazione degli illeciti, al di là della mera conoscenza degli stessi.

Questa valutazione offre spunti di riflessione importanti sul ruolo e sulle responsabilità dei professionisti che prestano consulenza in ambito fiscale. Nel caso specifico, si è valutato che il professionista non avesse travalicato il proprio ruolo, non divenendo quindi compartecipe delle violazioni finanziarie realizzate dai membri del gruppo societario fittizio.

Implicazioni pratiche

La sentenza in esame ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, ribadisce che l’utilizzo di società fittizie per eludere le norme fiscali non può costituire uno schermo protettivo per i reali autori degli illeciti. Quando emerge che la struttura societaria è stata creata al solo scopo di servire gli interessi personali dei soci o degli amministratori, questi ultimi possono essere chiamati a rispondere personalmente delle sanzioni tributarie.

In secondo luogo, la pronuncia offre un’importante tutela ai professionisti che, pur prestando la propria opera di consulenza, non si rendono partecipi attivi degli illeciti perpetrati dai propri clienti. Questo aspetto è fondamentale per delineare i confini della responsabilità professionale in ambito fiscale.Infine, la sentenza si inserisce in un filone giurisprudenziale che mira a contrastare l’abuso delle forme societarie a fini elusivi o evasivi. In un’epoca in cui le strutture societarie complesse sono sempre più diffuse, è fondamentale che la giurisprudenza continui a fornire criteri chiari per distinguere le situazioni di reale separazione tra persona giuridica e persone fisiche da quelle in cui tale separazione è solo apparente e finalizzata all’elusione delle norme.

Conclusioni

Questa pronuncia rappresenta quindi un importante monito per chi pensa di poter aggirare impunemente le norme fiscali, nascondendosi dietro società di comodo, e al contempo offre una guida preziosa per i professionisti del settore nella valutazione dei rischi connessi alla propria attività di consulenza.

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