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Stop agli 85 giorni di proroga a “cascata” per gli accertamenti: l’Agenzia delle Entrate si adegua alle sentenze dei giudici tributari

14 Marzo, 2024

L’Agenzia delle Entrate ha finalmente recepito l’orientamento univoco dei giudici tributari di primo grado, mettendo fine alla tanto contestata proroga “a cascata” di 85 giorni per gli accertamenti fiscali. Questa decisione arriva dopo numerose sentenze che hanno bocciato l’applicazione della proroga oltre l’anno 2020, per il quale era stata originariamente prevista a causa dell’emergenza Covid-19. La proroga, inizialmente introdotta per far fronte alle difficoltà causate dalla pandemia, aveva generato incertezza e confusione tra i contribuenti e i professionisti del settore, poiché sembrava estendere indebitamente i termini di decadenza per l’accertamento fiscale. Ora, con le nuove indicazioni dell’Agenzia delle Entrate, si torna ai termini ordinari, garantendo maggiore chiarezza e prevedibilità per tutti i soggetti coinvolti.

L’atto di indirizzo del viceministro Leo

Le nuove indicazioni dell’Agenzia delle Entrate sono state dettate dall’atto di indirizzo del 29 febbraio 2024, firmato dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo e dal direttore del Dipartimento delle Finanze Giovanni Spalletta. L’atto di indirizzo ha affrontato diversi aspetti critici della normativa fiscale, tra cui la questione della proroga “a cascata” e l’applicazione del nuovo contraddittorio preventivo previsto dall’articolo 6-bis dello Statuto dei diritti del contribuente. In particolare, per quanto riguarda gli inviti all’adesione relativi a periodi d’imposta con termini di decadenza imminenti, l’atto di indirizzo ha stabilito che gli uffici dovranno comunicare tempestivamente al contribuente la non applicabilità delle previsioni del nuovo comma dell’articolo 6-bis, fino al 30 aprile o all’emanazione del decreto ministeriale che individuerà gli atti soggetti al nuovo contraddittorio. Questa disposizione mira a evitare che l’applicazione del nuovo istituto del contraddittorio preventivo possa interferire con i termini di decadenza dell’azione accertatrice, garantendo al contempo il diritto del contribuente a un confronto anticipato con l’amministrazione finanziaria.

I termini ordinari di decadenza

A partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016 e per i periodi successivi, gli accertamenti devono essere notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, a pena di decadenza. Ad esempio, per la dichiarazione relativa all’anno 2017, presentata nel 2018, l’accertamento deve essere notificato entro il 31 dicembre 2023. Fanno eccezione i casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di una dichiarazione nulla, per i quali il termine di decadenza è fissato al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. La ratio di questi termini risiede nella necessità di garantire un equilibrio tra l’interesse dell’amministrazione finanziaria a effettuare i controlli e recuperare eventuali imposte dovute, e l’esigenza di certezza e stabilità per il contribuente, che non può essere esposto all’azione accertatrice per un periodo di tempo indefinito.

Le sentenze dei giudici tributari

La proroga “a cascata” era già stata bocciata in diverse occasioni dai giudici tributari di primo grado, che avevano sottolineato come essa fosse applicabile solo all’anno 2020, colpito dall’emergenza Covid-19, e non potesse essere estesa indiscriminatamente agli anni successivi. In particolare, la Corte di giustizia di primo grado di Latina, con la sentenza 974/2023, ha definito la proroga generalizzata di 85 giorni “irragionevole e illogica”, evidenziando come essa si ponesse in contrasto con i principi di certezza del diritto e di tutela dell’affidamento del contribuente. Sulla stessa linea si sono espressi i giudici di primo grado di Prato (sentenza 87/2/23) e di Torino (sentenza 890/6/222), che hanno annullato accertamenti notificati oltre il termine ordinario di decadenza, ritenendo inapplicabile la proroga “a cascata”. Queste sentenze hanno messo in luce l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di merito, che ha riconosciuto la natura eccezionale e temporanea della proroga, legata esclusivamente all’emergenza pandemica del 2020.

Cosa fare in caso di accertamento tardivo

Se un contribuente riceve un accertamento notificato dopo la scadenza del termine di decadenza, è fondamentale agire tempestivamente per tutelare i propri diritti. In primo luogo, è consigliabile rivolgersi a un professionista abilitato (avvocato tributarista o dottore commercialista) per una valutazione approfondita della situazione e per decidere la strategia difensiva più opportuna. In generale, il contribuente può presentare ricorso alla Commissione tributaria provinciale competente entro 60 giorni dalla data di notifica dell’accertamento, chiedendone l’annullamento per intervenuta decadenza. Nel ricorso, oltre a eccepire la tardività della notifica, è possibile sollevare anche eventuali vizi di merito dell’atto impositivo, contestando le pretese dell’ufficio nel caso in cui non siano fondate. È essenziale allegare al ricorso tutti i documenti necessari a supporto delle proprie ragioni, come le ricevute di presentazione delle dichiarazioni, le eventuali memorie difensive presentate in sede amministrativa e ogni altro elemento utile a dimostrare la correttezza del proprio operato. In caso di esito favorevole del ricorso, l’accertamento sarà annullato e il contribuente non dovrà versare le imposte richieste. In caso di soccombenza, invece, sarà possibile proporre appello alla Commissione tributaria regionale e, in ultima istanza, ricorrere in Cassazione.

Esempi pratici

Di seguito di forniscono alcuni esempi pratici

Esempio #1

La società Alfa S.r.l. ha presentato regolarmente la dichiarazione dei redditi per l’anno 2017. In data 15 febbraio 2024, l’Agenzia delle Entrate notifica alla società un avviso di accertamento, contestando maggiori imposte dovute per quell’anno e applicando la proroga “a cascata” di 85 giorni prevista per l’emergenza Covid-19. Tuttavia, poiché la proroga non è applicabile agli anni successivi al 2020 e il termine di decadenza per l’accertamento relativo al 2017 è scaduto il 31 dicembre 2023, la società Alfa S.r.l. può presentare ricorso contro l’accertamento tardivo, chiedendone l’annullamento.

Esempio #2

Il signor Bianchi, lavoratore autonomo, non ha presentato la dichiarazione dei redditi per l’anno 2016. Il 20 dicembre 2023, l’Agenzia delle Entrate gli notifica un accertamento d’ufficio, ricostruendo il suo reddito sulla base dei dati in possesso dell’anagrafe tributaria. In questo caso, trattandosi di omessa dichiarazione, il termine di decadenza per l’accertamento è di sette anni e scade il 31 dicembre 2023. Pertanto, l’accertamento notificato dal signor Bianchi è tempestivo e, se egli ritiene infondate le contestazioni dell’ufficio, dovrà impugnare l’atto nel merito, fornendo prove e documenti a sostegno della propria posizione.

Esempio #3

La società Gamma S.p.A. ha presentato la dichiarazione dei redditi per l’anno 2018 il 30 settembre 2019, beneficiando della proroga dei termini disposta a causa dell’emergenza Covid-19. Il 15 gennaio 2024, l’Agenzia delle Entrate notifica alla società un accertamento per maggiori imposte relative a quell’anno. Poiché la dichiarazione è stata presentata nel 2019, il termine di decadenza per l’accertamento scade il 31 dicembre 2024, quindi l’atto notificato dall’ufficio è tempestivo. La società Gamma S.p.A. dovrà valutare attentamente il contenuto dell’accertamento e, se lo ritiene infondato, potrà proporre ricorso nei termini di legge.


Domande e risposte

D: La proroga “a cascata” di 85 giorni è ancora applicabile per gli accertamenti relativi all’anno 2020?
R: No, la proroga era stata prevista solo per l’anno 2020 a causa dell’emergenza Covid-19 e non può essere estesa agli anni successivi. Per gli accertamenti relativi al 2020, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate dovrà rispettare il termine di decadenza del 31 marzo 2026 (31 dicembre 2025 più 85 giorni), a meno che non siano intervenute cause di sospensione o interruzione dei termini.

D: Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate notifica un accertamento oltre i termini di decadenza?
R: Se l’Agenzia delle Entrate notifica un accertamento oltre i termini di decadenza, il contribuente può presentare ricorso alla Commissione tributaria provinciale competente entro 60 giorni dalla notifica, eccependo la tardività dell’atto e chiedendone l’annullamento. È importante agire tempestivamente per non perdere la possibilità di contestare l’accertamento e per evitare che diventi definitivo.

D: Quali sono i termini ordinari di decadenza per l’accertamento fiscale?
R: A partire dal periodo d’imposta 2016, gli accertamenti devono essere notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Ad esempio, per la dichiarazione relativa all’anno 2020, presentata nel 2021, l’accertamento deve essere notificato entro il 31 dicembre 2026. In caso di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di una dichiarazione nulla, il termine di decadenza è di sette anni e scade il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

D: Come deve comportarsi il contribuente che riceve un accertamento fiscale?
R: Quando un contribuente riceve un accertamento fiscale, è fondamentale esaminare attentamente il contenuto dell’atto e valutare se le contestazioni mosse dall’ufficio siano fondate o meno. In caso di dubbi o perplessità, è sempre consigliabile rivolgersi a un professionista abilitato (avvocato tributarista o dottore commercialista) per un parere qualificato e per decidere la strategia difensiva più opportuna. Se l’accertamento viene ritenuto illegittimo o infondato, il contribuente può presentare ricorso alla Commissione tributaria provinciale entro 60 giorni dalla notifica, allegando tutti i documenti necessari a supporto delle proprie ragioni. In alternativa, se l’accertamento viene ritenuto fondato, il contribuente può valutare la possibilità di definire la pretesa dell’ufficio attraverso gli istituti deflattivi del contenzioso, come l’accertamento con adesione o la conciliazione giudiziale, beneficiando di una riduzione delle sanzioni.

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