Il Superbonus 110%, introdotto dal Decreto Rilancio (Decreto Legge n. 34/2020), ha rappresentato una misura di grande impatto per incentivare gli interventi di efficientamento energetico e messa in sicurezza degli edifici. Tuttavia, questa agevolazione fiscale ha anche dato origine a fenomeni legali all’abuso del beneficio tramite pratiche fraudolente. Un caso emblematico è quello del frazionamento fittizio degli immobili, una tecnica utilizzata per moltiplicare artificiosamente il credito d’imposta spettante. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39997 del 30 ottobre 2024, ha confermato la legittimità del sequestro preventivo di immobili e crediti derivanti da tali operazioni fraudolente. In questo articolo analizzeremo i dettagli della vicenda, i principi giuridici applicati e le implicazioni pratiche della decisione.
Il frazionamento artificioso
La vicenda sottoposta all’esame della Corte di Cassazione riguarda un caso in cui un immobile è stato suddiviso fittiziamente in ben 41 unità distinte. Tale operazione aveva lo scopo di aggirare i limiti previsti dalla normativa sul Superbonus. Secondo i giudici, il frazionamento non rispondeva a un’esigenza reale, ma era un artificio messo in atto per ottenere indebiti vantaggi fiscali.
Ciò è emerso anche dal fatto che il numero di unità immobiliari effettivamente realizzate era significativamente inferiore a quello dichiarato. Inoltre, dopo l’acquisto degli immobili, erano stati costituiti due distinti condomini in tempi sospettosamente ravvicinati, un ulteriore elemento che ha confermato la natura fraudolenta dell’operazione.
Le argomentazioni dei ricorrenti e la risposta della Cassazione
I ricorrenti hanno sostenuto che il frazionamento dell’immobile era stato effettuato dai precedenti proprietari esclusivamente per adeguare la situazione catastale allo stato dei luoghi, in vista della vendita. Inoltre, hanno affermato che la mancanza di impianti distinti per le varie unità fosse dovuta alle condizioni di fatiscenza dell’immobile. Hanno anche sottolineato che l’operazione era avvenuta prima dell’entrata in vigore del Decreto Rilancio e, quindi, in un contesto normativo diverso.
La Corte di Cassazione ha respinto tali argomentazioni, chiarendo che il Superbonus non ha introdotto un beneficio fiscale completamente nuovo, ma ha potenziato agevolazioni già esistenti come l’Ecobonus e il Sismabonus. Pertanto, la tempistica del frazionamento è irrilevante, in quanto l’obiettivo dell’artificio era chiaramente quello di sfruttare in modo indebito i vantaggi fiscali.
I giudici hanno inoltre evidenziato il pericolo concreto che gli immobili e i crediti d’imposta potessero essere trasferiti a terzi in buona fede, rendendo più difficile il recupero dei beni e vanificando l’azione della giustizia. Per questo motivo, il sequestro preventivo è stato considerato uno strumento necessario per evitare la dispersione del profitto illecito.
La condotta illecita e le conseguenze sui crediti d’imposta
Un aspetto cruciale della sentenza riguarda il trattamento dei crediti d’imposta generati dalla condotta fraudolenta. La Corte ha stabilito che l’intera procedura era stata “inquinata” dall’illiceità del frazionamento. Di conseguenza, il credito d’imposta maturato è stato considerato integralmente illecito, senza possibilità di distinguere tra parti lecite e illecite.
Questa impostazione si basa sul principio secondo cui, in presenza di una condotta fraudolenta, l’intero risultato ottenuto è da considerarsi frutto del reato. Di conseguenza, non solo i crediti già maturati sono stati sottoposti a sequestro, ma anche quelli futuri potenzialmente derivanti dagli interventi dichiarati, al fine di prevenire ulteriori illeciti.